La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 546, diciotto mesi dall’invasione russa che ha dato il via al conflitto. Dopo un anno e mezzo di combattimenti le posizioni sul campo sembrano bloccate. Le forze d’occupazione hanno fortificato il fronte, rendendo estremamente complessa la controffensiva di Kiev. Nel frattempo, si cerca, da entrambe le parti, di indebolire il nemico con colpi dal cielo. Nella sostanziale impasse bellica si intensificano le pressioni per un cessate il fuoco, sebbene a differenti condizioni, secondo i diversi proponenti.
E in serata arriva la notizia della morte (probabile) di Evgenij Prigozhin, capo della milizia Wagner, protagonista di efferate azioni in Ucraina e poi critico della leadership del suo Paese, fino all'ammutinamento e alla marcia su Mosca del 23-24 giugno. Il suo aereo è precipitato durante un volo da Mosca a San Pietroburgo, 10 a bordo, tra cui il braccio destro Utkin. La Wagner accusa il Cremlino di vendetta. Si attende ancora una versione ufficiale.
Diciotto mesi hanno significato, finora, un massacro di militari e di civili. La stima più recente di fonte americana parla di 500mila tra morti e feriti, sommando le perdite di entrambi i contendenti. Più caduti fra le forze russe che fra quelle ucraine. Molte migliaia di vittime nella popolazione sotto i bombardamenti, compresi centinaia di bambini. La grande azione di riconquista ha intensificato gli scontri lungo le direttrici Sud ed Est, senza tuttavia consentire quello sfondamento che avrebbe dovuto consentire un recupero di territori e costringere Putin ad accettare una trattativa.
È utile allora considerare insieme alcuni elementi che indicano le differenti spinte nello schieramento occidentale pro-Ucraina e ciò che invece caratterizza il momento attuale del Cremlino. L’offensiva di Kiev non è efficace hanno fatto sapere esponenti militari americani e della Nato. Il motivo, come hanno spiegato fonti del “New York Times”, è che troppe truppe, comprese alcune delle migliori unità da combattimento, sono nei posti sbagliati.
L'obiettivo principale degli attacchi dovrebbe essere quello di tagliare le linee di rifornimento della Federazione nell'Ucraina meridionale, interrompendo il cosiddetto ponte di terra tra la Russia e la penisola di Crimea occupata. Ma invece di concentrarsi su questo obiettivo, i comandanti del Paese occupato hanno diviso le truppe e la potenza di fuoco più o meno equamente tra l'Est e il Sud, secondo l’analisi degli alti ufficiali interpellati dal quotidiano Usa.
Gli strateghi americani avrebbero consigliato a Kiev di concentrarsi sul fronte meridionale in direzione di Melitopol e di “bucare” in questo modo i campi minati e le altre difese, anche al prezzo di una maggiore perdita di soldati e mezzi nel corso dell’avanzata. Solo un cambio di tattica e una scelta drastica potrebbero accelerare il ritmo della controffensiva, ha spiegato sotto anonimato un funzionario statunitense.
Se risulta comprensibile la cautela ucraina nel mandare allo sbaraglio le proprie forze migliori, dato che non sarebbe facile rimpiazzarle al momento, e questo potrebbe avere reso ottimistiche le previsioni sulla carta rispetto alla realtà del campo di battaglia,
gli altri elementi dell’analisi sollevano dubbi e interrogativi. Sembrava acclarato che molti successi dei difensori fossero dovuti alle informazioni di intelligence di provenienza americana, superiori a quelle a disposizione di Mosca. E gran parte degli armamenti più efficaci sono forniti dai membri dell’Alleanza, mentre la formazione dei reparti d’élite si è svolta recentemente su suolo occidentale.
Com’è allora possibile che l’azione ritenuta possibilmente risolutiva nella guerra in cui il blocco atlantico ha tanto investito per mantenere l’Ucraina quale baluardo antirusso sia gestita contro i migliori consigli dei vertici militari del Pentagono e della Nato? Che cosa sta andando storto dato che l’Amministrazione Biden sembra ancora impegnata pienamente al fianco di Zelensky con una mole considerevole di aiuti? Forse l’intesa non è più così forte, ma nulla va lasciato trapelare per non dare un vantaggio al Cremlino e non incrinare il già fragile sostegno delle opinioni pubbliche all’impegno bellico. Zelensky ha voluto replicare direttamente: "Non cederemo l'Est spostando l'esercito, questo è quello che vogliono gli occupanti". Il sottointeso potrebbe anche essere: forse è anche quello che adesso vuole Biden per disimpegnarsi dalla guerra?
D’altra parte, anche la campagna aerea di Kiev per colpire in profondità il suolo russo e Mosca in particolare, con raid più simbolici che strategici, sembra motivata dai modesti risultati ottenuti a terra contro le difese della Federazione. Una guerra psicologica, si dice, tesa a creare tensione e paura in casa di Putin, già alle prese con l’ammutinamento della milizia Wagner e un calo di consensi. Ma si tratta di una strategia avversata dalla Casa Bianca, che non vuole escalation ulteriori e non si stanca di prendere le distanze dai raid oltreconfine, che non devono essere condotti con mezzi forniti dalla Nato.
Zelensky può comunque recriminare legittimamente per la lentezza nelle forniture delle armi promesse. Se si voleva davvero che la controffensiva fosse rapida ed efficace, serviva un maggiore supporto in termini di mezzi. Non si può dunque scartare del tutto l’ipotesi che non si sia voluto spingere troppo sull’acceleratore da parte americana nel timore che la Russia ricorresse davvero alle armi nucleari o comunque potesse verificarsi un altrettanto pericoloso vuoto di potere seguente al rovesciamento di Putin.
Rapporti militari recenti hanno peraltro evidenziato come la Federazione non verrà sconfitta in Ucraina ma non avrà per anni la possibilità di effettuare un’altra operazione simile, dato lo sforzo bellico ed economico (sanzioni comprese) profuso in questi 18 mesi. La sua minaccia per il futuro sarebbe quindi ridimensionata.Anche la strategia di Mosca è sotto osservazione. Probabilmente, può sopportare a lungo il prolungamento del conflitto in questa forma. Ma dovrà trovare una via di uscita. E i tentativi di ingrossare lo schieramento geopolitico a suo favore stanno incontrando difficoltà evidenti, come è emerso dalla riunione dei Paesi Brics di questi giorni.
L'uscita di scena di Prigozhin sembra rafforzare il presidente e la sua presa sul Paese con il terrore, sebbene siano ancora tutte da chiarire le circostanze della morte del militare che aveva osato sfidare lo Zar. L'ipotesi dell'incidente non va esclusa del tutto, quella di una eliminazione mirata sembra plausibile. Resta da capire come mai lo stesso Prigozhin non sia stato più prudente. Rimane anche lo scenario fantapolitico di un suo esilio silenzioso e coperto d'oro con l'opportunità per Putin di inscenare un'apparente vendetta "pubblica" che raddrizza il suo vacillante potere.
Siamo dunque in una fase in cui sarebbe praticabile un’azione diplomatica? Alcuni segnali paiono andare in questa direzione. Ma la strada resta lunga e in salita. Tutti gli attori si muovono con un’agenda a geometria variabile, consapevoli che un prolungamento delle ostilità è probabile. Tuttavia, non si può più scommettere soltanto, da una parte e dall’altra, sulla vittoria militare.