Ucraina. Guerra giorno 387: lo Zar "ricercato" per crimini e ciò che può accadere ora
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La guerra in Ucraina è arrivata al suo 387° giorno e registra la clamorosa emissione di un mandato di cattura contro Vladimir Putin da parte della Corte penale internazionale. Il presidente russo è accusato di crimini di guerra, in particolare per la deportazione illegale e l’adozione forzata di 16mila bambini nelle zone occupate. "Vi sono fondati motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini, per averli commessi direttamente, insieme ad altri e/o per interposta persona, e per il suo mancato controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso quegli atti", spiega una nota della Corte dell’Aja. Un altro mandato di arresto è stato spiccato nei confronti di Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini presso il Cremlino.
I giudici, consapevoli “che le condotte contestate nella fattispecie sarebbero ancora in corso, e che la conoscenza pubblica dei mandati può contribuire a prevenire l'ulteriore commissione di reati”, hanno ritenuto “che sia nell'interesse della giustizia autorizzare la Cancelleria a rendere pubblica l'esistenza di questi mandati, il nome degli indagati, i reati per i quali i mandati sono stati emessi e le modalità di responsabilità stabilite dalla Camera". Immediata la replica del Cremlino: “Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale". Mosca infatti non aderisce alla Cpi.
La Corte penale internazionale, operativa dal 2002, ha giurisdizione sovranazionale e può processare individui responsabili di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l'umanità e di aggressione. I Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma sono 123. Altri 32 hanno firmato ma non ratificato il Trattato. Fra coloro che a diverso titolo non riconoscono la giurisdizione della Corte, proprio la Russia, con Cina, Stati Uniti, Israele e Sudan. In base al mandato di cattura, Putin non potrebbe viaggiare nei 123 Stati aderenti, che potrebbero arrestarlo una volta giunto sul suo territorio. Se quindi il provvedimento non avrà ricadute pratiche immediate, segna certamente un momento storico e mette simbolicamente nell’angolo il leader russo, ora davvero un paria della comunità internazionale, divenuto ufficialmente un “latitante” per odiosi crimini di guerra.
Queste implicazioni fanno sorgere interrogativi sulla tempistica scelta dalla Cpi e spiegano perché la nota emessa cerchi di giustificare la divulgazione della notizia proprio ora. La Corte non può certo venire accusata di essere manovrata dagli Stati Uniti, che non ne fanno parte. Anzi, è sempre stata appoggiata da molti Paesi non allineati che la valutano come una fonte di giustizia indipendente da considerazioni politiche e dalla ragion di Stato delle grandi potenze, che copre molti delitti. L'isolamento di Putin è destinato a crescere. La reazione potrebbe essere di chiusura totale alle trattative. Ma non si può escludere che lo spettro di un processo e di una fine ingloriosa del suo progetto imperiale spingano lo Zar a considerare una via di uscita dal conflitto che gli eviti la peggiore conclusione della sua parabola politica e umana.
La decisione comunque avrà inevitabili ricadute politiche sulla crisi. Il provvedimento dall’Aja è arrivato proprio poche ore dopo che il presidente cinese Xi Jinping aveva annunciato che sarà a Mosca la prossima settimana, per la prima volta dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Secondo il programma iniziale, Xi e Putin si parleranno lunedì durante un pranzo informale, mentre i negoziati si svolgeranno il giorno successivo. Cina e Russia discuteranno di questioni riguardanti energia, il partenariato e la cooperazione strategica e militare, ed è prevista la firma di "importanti documenti bilaterali". La visita del leader cinese - la prima all'estero da quando ha iniziato il terzo mandato presidenziale – è stata definita da Pechino “un viaggio di amicizia, cooperazione e pace". Quella con Mosca è una cooperazione "leale e schietta", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, che punta ad "avvantaggiare i due popoli, promuovere lo sviluppo del mondo, libera da interferenze e coercizioni da parte di terzi".
Sulla guerra in Ucraina, per cui Pechino non ha mai condannato la Russia, il portavoce del ministero degli Esteri ha poi sottolineato che "la Cina si è sempre schierata dalla parte della pace e del dialogo". Nessun cenno per ora alla possibilità che Xi possa avere un colloquio con il presidente ucraino Zelensky, come auspicato da quest’ultimo. L'accordo in dodici punti presentato dalla Cina per la soluzione diplomatica della crisi è stato finora accolto con freddezza in Occidente, che accusa la Cina di non fare differenze nella proposta di pace tra aggressore e aggredito.
Se la stessa Cina non presenta l’iniziativa come un esplicito tentativo di raggiungere una tregua, dagli Stati Uniti arriva l’altolà a considerare Xi Jinping come un pacificatore: si tratta piuttosto, ha detto il portavoce John Kirby, di "tentativi di aumentare l'influenza" cinese. Per Washington, il piano di pace di Pechino non sarà un passo verso "una pace duratura" ma la ratifica delle conquiste russe. "Se Xi volesse avere un ruolo sincero nel ripristinare la sovranità dell'Ucraina, noi ovviamente lo accoglieremmo con favore", ha dichiarato invece un portavoce del primo ministro britannico Rishi Sunak.
I movimenti delle ultime ore, compreso l’annuncio di Polonia e Slovacchia della fornitura di complessivi 17 Mig29 alle forze armate di Kiev, sembrano dare un’accelerazione al confitto caratterizzato ancora da combattimenti accesi a Bakhmut e da azioni in Crimea che Mosca ha ribadito di essere pronta a difendere a ogni costo. Insieme alle voci di una volontà americana di accelerare la controffensiva ucraina in maggio, gli eventi in corso potrebbero dare una svolta alla crisi.