Ucraina. Guerra giorno 337: missili russi, carri armati Nato e logoramento occidentale
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Nel 337° giorno della guerra in Ucraina torna la tragica pioggia di missili russi sulle città e le infrastrutture, mentre continuano le scosse di assestamento del terremoto politico e militare innescato dalla decisione occidentale di fornire carri armati a Kiev. E una piccola buona notizia giunge dal proseguimento del programma di invio di grano nei Paesi con emergenze alimentari.
Sono undici le persone che hanno perso la vita a causa degli attacchi condotti nelle ultime ore e altrettante quelle che sono rimaste ferite. Secondo il portavoce dei servizi di emergenza, Oleksandr Khorunzhy, le forze armate di Kiev hanno abbattuto 47 dei 55 missili sparati dalle truppe di Mosca. Nella capitale ha perso la vita un uomo di 55 anni, mentre le autorità di Zaporizhzhia hanno segnalato che nella zona si registrano tre vittime. Colpiti due impianti energetici nella regione meridionale di Odessa. Sarebbe stato usato anche un missile ipersonico Kinzhal, in grado di raggiungere 5 volte la velocità del suono per evitare la contraerea avversaria, una delle potenti armi di ultima generazione, utilizzato dalla Federazione per la prima volta proprio nel marzo scorso.
Sotto molti aspetti, l’impiego di quest’arma non è da ritenersi diverso dall’utilizzo dei carri armati di “vecchia” generazione come i Leopard 2, di concezione molto precedente i Kinzhal, e per i quali il Cremlino ha parlato di escalation, di risposte durissime e di guerra aperta con l’Occidente. Ma sulla fornitura di tank, che non arriveranno prima di un paio di mesi, si sta facendo molto retorica da entrambe le parti. Tra le ultime prese di posizione, c’è da registrare quella di Donald Trump, che ha duramente criticato la decisione del presidente Biden di inviare gli M1 Abrams all’Ucraina. "Prima arrivano i tank, poi le testate nucleari – ha scritto in un post sul suo social media Truth –. Bisogna mettere fine a questa guerra folle adesso. È così facile".
Non sembra in realtà impresa per nulla semplice, in questo momento. Putin non ha nessuna voglia e, forse, nemmeno alcuna possibilità (per le pressioni interne) di sedersi a un tavolo di trattiva. Ma neppure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra orientato a perseguire la via diplomatica. In un'intervista a Sky News, ha affermato di "non essere interessato" a incontrare il leader russo per colloqui di pace. “Non è nessuno – lo ha liquidato –, vive in una bolla informativa e non sa cosa stia succedendo sul campo di battaglia”.
Probabilmente, Putin invece sa bene quello che accade sul campo di battaglia e, soprattutto, quello che potrebbe succedere in primavera. Ha compreso che il fronte occidentale non è diviso e mantiene la ferma volontà di sostenere l’Ucraina fino a un risultato militare sul campo, che può non essere la vittoria completa sognata da Zelensky ma non è nemmeno un successo parziale della Russia. I Paesi Nato, soprattutto quelli più vicini ai confini della Federazione, possono svuotare i loro arsenali per sostenere Kiev e perdere la guerra? Lo scenario sarebbe quello di un Putin più forte e incattivito, minaccioso verso altre nazioni limitrofe, le quali si troverebbero meno pronte a difendersi. Esattamente l’opposto di quello che vogliono Polonia, Paesi Baltici e altri Stati europei un po’ più lontani da Mosca.
La strategia americana puntava a una guerra di logoramento per la Federazione, ma ora le cose stanno cambiando. Il rischio è che sul lungo periodo il logoramento colpisca l’Occidente. Dal punto di vista politico, perché l’impegno pro-Kiev e l’unità di intenti potrebbero non essere infiniti, soprattutto all’avvicinarsi di scadenze elettorali. Dal punto di vista militare, come detto, perché pure le risorse delle potenze più ricche – come Usa e Gran Bretagna – hanno dei limiti. Certo, la svolta tedesca, con Berlino che ha rotto gli indugi sui carri armati e abbandonato l’illusione di ricucire prima o poi i rapporti con Mosca, può aiutare. Resta tuttavia l’esigenza di ribaltare l’inerzia del conflitto in tempi non troppo lunghi, per costringere Putin a fermare la sua avanzata in Ucraina (e altrove) per parecchi anni.
È in questa chiave che va forse letto il cambio di passo sul sostegno bellico a Kiev, che lascia comunque spazio a un ulteriore salto di qualità in caso di un peggioramento della situazione sul campo. E il nervosismo russo con le nuove minacce pare tradire la consapevolezza di questa sfida, che il Cremlino sa essere estremamente difficile. Non sfugge ai generali che la potenza di fuoco che l’Occidente può concedere all’Ucraina può crescere ancora di molto, mentre non è chiaro quanto possa fare di più l’esercito russo (a meno di considerare lo scenario atomico).