Ucraina. Guerra giorno 320: la sfinge Putin e mosse Nato, una crisi senza più uscita?
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La guerra in Ucraina è arrivata al suo 320° giorno e il fallimento dell’ipotizzata tregua di Natale sembra confermare tragicamente che non siano all’orizzonte svolte nel conflitto. Gli attacchi russi sui civili continuano: due donne sono rimaste uccise dai missili lanciati su un mercato a Kharkiv, nell’Est. Altre tre donne e una bambina di dieci anni sono rimaste ferite, secondo quanto riporta l'“Ukrainska Pravda”.
Combattimenti feroci proseguono a Bakhmut, nel Donbass, diventata una città simbolo che entrambi le parti vogliono poter controllare stabilmente, dove si stanno perdendo centinaia di uomini in una delle battaglie più sanguinose di questi mesi, probabilmente senza un vero obiettivo strategico, ma soltanto, soprattutto da parte russa, per uno scopo che è più di orgoglio nazionalistico che di guadagno bellico.
Nelle ultime ore, le forze dei separatisti ucraini, sostenuti da Mosca, nella regione orientale di Donetsk hanno annunciato la conquista di un villaggio proprio vicino a Bakhmut, città agricola e mineraria che aveva una popolazione di 70mila persone prima della guerra e che di fatto è ancora difesa dalle truppe ucraine. Si tratta di Bakhmutske, a nord-est del capoluogo. Il piccolo centro è appena fuori Soledar, città anch'essa teatro di pesanti scontri in cui sono coinvolti i mercenari della società privata russa Wagner.
Dal punto di vista più generale, gli sviluppi della guerra sembrano in questa fase dipendenti dalla preparazione che i due eserciti stanno conducendo in vista di una probabile escalation nei prossimi mesi. Mentre il Cremlino ha escluso una nuova mobilitazione e la sua tattica oscilla tra i lanci massicci di missili sulle infrastrutture e piccole offensive sul campo per riconquistare alcuni territori perduti, Kiev punta tutto sui nuovi rifornimenti d’armi provenienti dall’Occidente.
Nei giorni scorsi, gli annunci ravvicinati di Stati Uniti, Germania e Francia hanno segnalato la rinnovata volontà di sostenere l’azione ucraina sul campo con nuovi lanciatori e mezzi blindati che finora erano stati negati anche di fronte alle reiterate richieste del presidente Zelensky. Alcuni analisti hanno parlato di una svolta, perché significherebbe che il fronte Nato sarebbe convinto della possibilità di una vittoria militare dell’Ucraina, o almeno di una riconquista di territori tale da permettere di aprire trattative con Putin su un piano più paritario.
Si tratta di una lettura probabilmente troppo sbilanciata. La Casa Bianca non vuole fare concessioni al Cremlino, ma è anche consapevole di non potere (e non volere) svuotare i propri arsenali e sfidare gli umori dell’opinione pubblica americana, sul lungo termine meno disposta a pagare per il conflitto in Europa. Per questo Biden ha chiesto a Zelensky di pensare anche a una via diplomatica. Spingere su entrambi i pedali dovrebbe servire a sfiancare l’attuale dirigenza di Mosca, alle prese con difficoltà interne e rovesci sul campo.
D’altra parte, è lo stesso Vladimir Putin a mostrare una conduzione ondivaga delle operazioni. Perché non insiste con continuità con la strategia del terrore su obiettivi civili che sembrerebbe essere efficace dal suo punto di vista? Non certo per scrupoli morali o umanitari, o per evitare l’esecrazione internazionale. Ha superato ampiamente entrambi quei limiti con i raid criminali compiuti finora. Forse è a corto di missili? Nessuno lo sa con precisione. Potrebbe essere una spiegazione. Forse le cose sono più complesse e Mosca non persegue un obiettivo di distruzione totale del Paese “fratello” e nemico insieme. Ma certo la Russia non cederà facilmente i territori che adesso rivendica come propri dopo l’“annessione” di fine settembre.
Di fronte a questa difficoltà di inquadrare la crisi e i suoi sviluppi, si arenano anche i tentativi di mediazione e si alimentano le ambiguità di Paesi come la Cina e la Turchia, che non hanno preso apertamente le parti di Mosca ma non fanno tutto quello che potrebbero per scoraggiare la prosecuzione delle ostilità da parte di Putin. Pertanto, le speranze di tregua, in questo quadro, restano purtroppo flebili.