Opinioni

Ucraina. Guerra giorno 209: referendum in Donbass e strappo di Putin. È forte o debole?

Andrea Lavazza martedì 20 settembre 2022

Il giorno 209 della guerra in Ucraina segnala un’apparente accelerazione da parte russa. Le mosse del Cremlino possono essere tuttavia lette in una doppia chiave e solo le prossime settimane diranno qual è quella corretta. Si attende anche un discorso del presidente Putin al Paese, annunciato e poi rinviato, per capire quali sono gli orientamenti per le prossime fasi della crisi.

Già nella mattinata di martedì, era arrivata la sollecitazione dal vice presidente del Consiglio di sicurezza nazionale, Dmitry Medvedev, con un post su Telegram: i referendum per l'annessione del Donbass devono tenersi al più presto. Passano poche ore e il Parlamento dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, nell'Est dell'Ucraina, approva all'unanimità la legge per indire il voto sull’ingresso nella Federazione russa del territorio – occupato dal 2014 e riconosciuto indipendente da Putin alla vigilia dell’invasione – da tenersi dal 23 al 27 settembre.

A seguire, la stessa decisione viene presa nella provincia del Donetsk, a Kherson e in parte della provincia di Zaporizhzhia (nel Sud). Con i referendum per l'unificazione convocati dai russi nelle regioni occupate dell'Ucraina, la popolazione locale potrà “decidere del suo futuro”, secondo il ministro degli Esteri Serghei Lavrov. "Dall'inizio dell'operazione militare speciale e, in verità, nel periodo precedente, abbiamo continuato a dire che le popolazioni dei rispettivi territori dovrebbero scegliere sul loro destino”, ha spiegato.

La scelta nelle urne, convocate in palese violazione del diritto internazionale, si svolgerà in un clima di guerra e sotto un’amministrazione di occupazione che non favoriranno in ogni caso uno svolgimento sereno e regolare. Nessuno potrà controllare né la reale affluenza né quanto le operazioni saranno falsate per ottenere un probabile risultato plebiscitario. I referendum erano in agenda da mesi, ma l’effettuazione è sempre slittata. Ora la decisione di procedere rapidamente.

Quasi in contemporanea, la Duma ha approvato a Mosca un disegno di legge secondo cui rischia la reclusione fino a 15 anni chi si oppone al servizio militare durante il periodo di mobilitazione o legge marziale, mentre a oggi questo reato è punibile con condanne fino a cinque anni.

Inoltre, sono state apportate modifiche all'art. 332 del codice penale riguardanti la “mancata esecuzione di un ordine”. Si prevedono pene da due a tre anni per un subordinato che si oppone a un comando dato da un superiore “durante un periodo di legge marziale, in tempo di guerra o in condizioni di conflitto armato o operazioni di combattimento, nonché per aver rifiutato di partecipare a forze armate o ostilità”. Anche in questo caso c'è stato un inasprimento delle pene, che saranno ancora più severe, tra i 3 e i 10 anni di reclusione, se il reato viene commesso “durante la legge marziale, in tempo di guerra o in condizioni di conflitto armato o operazioni di combattimento, nonché per avere rifiutato di partecipare a operazioni militari o ostili, che hanno comportato gravi conseguenze”.

Si può leggere il combinato dell’indizione dei referendum per l’annessione ufficiale del Donbass e le nuove norme sul servizio militare come parte di un unico disegno di fronte alle difficoltà di contrastare la controffensiva ucraina. Se Lugansk, Donetsk e Kherson e Zaporizhzhia diventano parte integrante della federazione, allora i tentativi ucraini di riconquistare quei territori potranno essere considerati, paradossalmente, da parte russa come un’aggressione al proprio suolo e giustificare una mobilitazione bellica estesa in patria, che i giovani non potranno rifiutare.

Inoltre, dicono alcuni analisti e temono i generali americani, sul territorio auto-proclamato russo sarà possibile dispiegare la dottrina nucleare difensiva, che prevede l’uso di ordigni atomici tattici (capaci di diffondere radiazioni e morte per un paio di chilometri) sul fronte dei combattimenti, quando vi sia una minaccia al territorio nazionale. Tale scenario è quello che preoccupa Biden, esitante a fornire missili a gittata maggiore: un attacco ucraino alla Crimea potrebbe scatenare la risposta russa con armi non convenzionali.

Ovviamente, nessun Paese, forse esclusa la Bielorussia, riconoscerà a breve la sovranità di Mosca sulle zone in cui si voterà (Usa, Nato ed Europa hanno già condannato la decisione “inaccettabile”), ma questo non fermerà il piano del Cremlino. Nemmeno la strategia di Kiev sarà modificata. I risultati delle consultazioni per il Paese invaso resteranno carta straccia e la guerra continuerà come in precedenza. Anzi, si renderà più difficile trovare una soluzione diplomatica.

Tuttavia, esiste anche un’altra possibilità. Ovvero che, come ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un'intervista all'emittente statunitense PBS, il Cremlino stia cercando di porre fine al conflitto, e che presto verrà compiuto un "passo significativo". Erdogan ha parlato di “discussioni molto approfondite” con Putin durante il vertice in Uzbekistan della scorsa settimana. “Sta dimostrando che è disposto a porre fine a questa situazione il prima possibile", ha spiegato il leader di Ankara. "Questa è stata la mia impressione, perché il modo in cui stanno andando le cose ora è piuttosto problematico".

In questa chiave, di fronte al rischio di ulteriori rovesci sul campo e di una disfatta che metterebbe a rischio la presa di Putin sul proprio Paese (all'annuncio del voto in Donbass la Borsa di Mosca è crollata), i referendum permetterebbero a Mosca di “ufficializzare” la liberazione delle popolazioni filo-russe che secondo la propaganda sono oggetto di persecuzioni da parte del regime “nazista” di Zelensky e di mostrare che la guerra è stata un successo, sia per l’aiuto portato ai fratelli in Ucraina sia per l’allargamento della Federazione alle spese degli avversari, ridimensionati e indeboliti, non più un pericolo alle frontiere. A quel punto il Cremlino potrebbe anche proporre una tregua negoziata, che Kiev rifiuterebbero ma che potrebbe essere sostenuta dall’intera comunità internazionale.