Ucraina. Guerra giorno 153: Kherson, grano e gas, i tre fronti caldi
La guerra in Ucraina è giunta al giorno 153 e si segnalano movimenti su vari fronti della crisi. Kiev mette in cantiere una robusta controffensiva sul fronte Sud; l’esportazione di grano dovrebbe finalmente riprendere; e l’Europa si prepara a un inverno con meno gas russo.
Mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha rimosso il comandante delle forze speciali dell'esercito, Grigory Galagan e ha nominato al suo posto Viktor Horenko, le forze ucraine si stanno attrezzando per una operazione massiccia al fine di riprendere Kherson, cruciale roccaforte nella parte meridionale del Paese, occupata fin dall’inizio del conflitto da Mosca, che la usa come base per lanciare attacchi in gran parte del territorio. La mossa di Kiev sarebbe – secondo gli analisti del “New York Times” – una delle azioni militari più ambiziose e significative di questi cinque mesi di combattimenti. Le forze ucraine stanno distruggendo i depositi di munizioni russi, colpendo i posti di comando e mirando alle linee di rifornimento grazie ai lanciatori di lunga gittata ricevuti dall’Occidente, capaci di raggiungere le retrovie dell’Armata fino a 70 chilometri dal fronte.
Finora sono stati liberati 44 città e villaggi lungo le zone di confine, circa il 15% della provincia. Ma l’azione non sarà per nulla agevole e non è detto che parta nei prossimi giorni. La controffensiva potrebbe cambiare del tutto l'equilibrio nel Sud. La regione è fondamentale anche per il piano dell'Ucraina di riprendere le esportazioni di grano attraverso il Mar Nero. Inoltre, riprendere il controllo di Kherson potrebbe ridare slancio all'Ucraina e dare alle sue truppe una nuova spinta, dopo le perdite territoriali e il ritiro da numerose città nel Donbass.
Intanto, nelle prossime ore avrà luogo la cerimonia di apertura del centro di coordinamento con sede a Istanbul per l’attuazione dell’accordo sui prodotti agricoli ucraini. Nel centro opereranno i rappresentanti di Russia, Ucraina, Turchia e Onu, che monitoreranno il passaggio delle navi attraverso un tragitto libero dalle mine e controlleranno il rispetto dell’intesa. L'entrata in funzione del centro è fondamentale perché non vi sarà sminamento, una condizione imposta da Kiev sin dall'inizio del negoziato nel timore che la Russia ne potesse approfittare e colpire i porti, soprattutto Odessa (che tuttavia è stata ancora bombardata dal cielo). Non vi saranno inoltre scorte da parte di navi militari.
Sono previste tre diverse rotte in uscita dai porti di Odessa, Chernomorsk e Yuzhny che poi convergeranno in un unico tragitto verso Istanbul grazie al lavoro del centro di coordinamento. Quello che risalta è il ruolo centrale della Turchia di Erdogan, il cui compito è ora fondamentale per rendere concreto un patto raggiunto con grandissime difficoltà e che non sembra poggiare su basi solide. In questo senso, è rilevante che il presidente turco il prossimo 5 agosto volerà a Sochi, dove incontrerà Vladimir Putin nel secondo faccia a faccia tra i due leader dall'inizio del conflitto.
Se sul grano importanti passi sono stati fatti, il gas resta il secondo bene più conteso e delicato. Il gigante energetico statale russo Gazprom ha appena annunciato che dimezzerà la quantità di metano che invia alla Germania attraverso il Nord Stream 1. Un flusso che era già stato ridotto. La risposta degli Stati Ue è arrivata a stretto giro, con il raggiungimento dell’accordo politico per la riduzione volontaria della domanda di gas naturale del 15% nel prossimo inverno. L'obiettivo diventerà però vincolante se verrà dichiarato lo stato di allerta. Lo scopo è prepararsi per possibili interruzioni delle forniture di gas dalla Russia, che "continua ad usare le forniture di energia come un'arma", secondo le parole della presidente della Commissione Ue, Von der Leyen.
I 27 hanno concordato di ridurre la loro domanda di gas del 15% rispetto al consumo medio negli ultimi cinque anni, con misure "di loro scelta". Il Consiglio ha specificato alcune deroghe ed esenzioni, tenendo conto delle situazioni particolari dei singoli Paesi, anche se non è ancora stabilito se queste misure diversificate diventeranno definitive. L’Italia dovrebbe poter ridurre la sua quota solo del 7%. Lo stato di allerta (che rende obbligatori i tagli) verrà decretato dal Consiglio con una decisione attuativa, su proposta della Commissione. Quest'ultima presenta la proposta in caso di concreto rischio di grave carenza di gas, in presenza di una domanda di gas eccezionalmente elevata o se almeno cinque Paesi che abbiano dichiarato l'allerta a livello nazionale ne fanno richiesta.
Gli Stati europei hanno concordato di dare la priorità a disposizioni che non colpiscano direttamente le famiglie e i servizi essenziali (sanità e difesa). Rimane il problema dell'Ungheria, l'unico Paese a opporsi all'accordo, sollevando dubbi sulla possibilità di attuare il piano. Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri di Budapest aveva incontrato il suo omologo russo a Mosca per chiedere ulteriori forniture di gas.
I tre fronti sembrano così intrecciarsi. Se in autunno partirà una reale ed efficace controffensiva ucraina, Mosca potrebbe reagire tagliando l’energia all’Europa che sostiene Kiev e fermando l’accordo sul grano per complicare ancor più la crisi. Per questo sono urgenti misure preventive come quella sul gas elaborata dalla Ue.