Ucraina. Guerra giorno 117: le conseguenze su Italia e Francia. Sparano i nuovi cannoni
La guerra in Ucraina, arrivata al 117 giorno, estende la sua ombra sulle politiche nazionali di Francia e Italia, mentre la settimana si apre con novità dal fronte bellico e da quello delle strategie di Mosca e Kiev.
I risultati delle elezioni francesi sono stati sicuramente il frutto di una serie di circostanze di breve e lunga durata, tra le quali il conflitto nel cuore dell’Europa, il coinvolgimento di Parigi e le conseguenze economiche hanno pesato in maniera rilevante. Ne è uscito ridimensionato il partito di Emmanuel Macron, che non avrà i numeri per la maggioranza assoluta in Parlamento e dovrà trovare alleanze o compromessi per portare avanti il suo programma. La netta crescita delle forze variamente populiste di sinistra e di destra sembra segnalare che un forte coinvolgimento nella crisi non è gradito agli elettori, o che forse la linea non sempre chiara e netta del presidente sia stata poco gradita da una parte dell’opinione pubblica.
Considerazioni simili si possono fare in Italia, dove però la spaccatura si è manifestata prima tra i rappresentanti che tra i rappresentati. La cesura all’interno del Movimento 5 stelle nasce dalle linee divergenti che esponenti di governo, parlamentari e dirigenti hanno sull’invio di altre armi all’Ucraina. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio incarna la linea più atlantista e filo-Kiev, mentre il leader 5s Giuseppe Conte guida coloro che vorrebbero uno stop o perlomeno un voto alle Camere e maggiori vincoli. Interessante notare come siano arrivate oblique interferenze al processo interno al partito sia da parte dell’ambasciatore russo in Italia Razov sia da parte del presidente Zelensky (attraverso la risposta a una domanda durante un collegamento online con Milano). Ciò manifesta l’importanza del nostro Paese e della linea che esso seguirà nei prossimi mesi (anche se l’effettiva quantità di armi finora inviate da Roma sarebbe inferiore a quelle concesse dalla Lituania, ovvero la rilevanza italiana è per ora più politica, principalmente per la autorevolezza e l’intraprendenza del premier Draghi).
Si può qui legare la lettura delle ultime mosse di Putin e dello stesso Zelensky. Il Cremlino ha cominciato a usare seriamente il gas e il grano come armi nella crisi globale, cercando di fare aumentare la pressione sui Paesi che sostengono l’Ucraina. Perché proprio adesso, quando sembra che la Russia stia vincendo nel Donbass e Kiev sia in difficoltà nel rimpiazzare uomini e mezzi in prima linea? Forse bisogna interpretare questa forzatura di Mosca proprio come un indicatore di debolezza più che di forza. Il vertice politico-militare sa che l’arrivo sul terreno di tutto l’armamento pesante a lunga gittata promesso dal fronte occidentale potrebbe invertire l’andamento del conflitto.
Di converso, l’attivismo rinnovato del presidente ucraino, le sue visite in prima linea (da ultimo si è spinto sino a Lysychansk) servono a sostenere moralmente la resistenza del Paese, che comincia a dare segni di sofferenza, e a rendere più incalzante la campagna di convincimento verso le nazioni che sostengono Kiev, affinché onorino al più presto le loro promesse di aiuto militare ed economico.
Qualcosa pare si stia muovendo, se è vero che si è avviato proprio in queste ore un martellamento di artiglieria delle truppe ucraine sugli invasori nel Donbass. Sarebbero stati presi di mira depositi di munizioni, infrastrutture e centri di comando, come non succedeva da tempo. È ancora troppo presto per dire se si tratti di un’inversione di tendenza sui fronti in cui risultava schiacciante la superiorità di forze e cannoni dell’Armata. Sarà necessario monitorare con attenzione gli sviluppi a Est e anche nel Sud, presso Kherson, per capire di quanti rinforzi, e quanto efficaci, può adesso contare Kiev.
Le previsioni di una guerra tragicamente lunga paiono in questo modo avverarsi, come ha ribadito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Ciò non potrà che creare ulteriore tensione nei Paesi dove vi è una divisione nella società civile tra sostegno a oltranza alla battaglia difensiva ucraina e desiderio di vedere al più presto una tregua, sia per motivi umanitari sia per motivi più prosaicamente economici ed energetici. Non si può infatti escludere che il Cremlino continui a premere il pedale del gas per modulare la pressione sui Paesi occidentali più coinvolti nella crisi e più dipendenti dagli approvvigionamenti russi. E l’Italia è tra questi.