L’altra notte, guardando che tweet mi stessero raggiungendo, ho trovato una signorina che rimbrottava qualcuno sul fatto che «Dio non ha creato le tenebre, ma la luce». L’ora era tarda e sulle prime ho pensato di leggere male. Va bene che nel meraviglioso, strambo mondo della comunicazione virtuale (specchio del meraviglioso, strambo mondo dove abbiamo i piedi posati al suolo) siamo ormai abituati a trovare di tutto, ma vedere come fioccavano i commenti mi ha colpito. Se Dio abbia o no creato le tenebre prima della luce all’inizio del mondo non è propriamente una questione di attualità. A chi diceva che le tenebre sono solo assenza di luce e, dunque, Dio ha avviato tutto creando la luce, qualcuno rispondeva che però questo fatto di tenebre (o come chiamarle) preesistenti all’atto primo creativo di Dio mette un po’ di inquietudine. Altri, Bibbia alla mano, ricordavano le citazioni esatte del Libro della Genesi. Altri ancora rivendicavano studi universitari sulla base dei quali potevano intervenire a ragion veduta sull’argomento. La luce elettronica della comunicazione superveloce, dunque, al servizio della indagine sulla luce più remota dell’universo e della storia? Dovremo abituarci a questo paradosso: i nuovi media agiteranno nuovamente tra gli uomini antiche questioni. Lo faranno per così dire aiutati anche dal fatto che la comunicazione ora è 'facile', diffusa, rapida nel raggiungerci. Si amplifica anche in questo campo delle eterne grandi questioni il problema che i nuovi media hanno portato con irruenta brutalità nei campi dell’informazione: l’attendibilità, l’autorevolezza. Come si twitta sulla ultima delle
news, così si twitta sulla prima, remotissima notizia della creazione. Il problema della autorevolezza è identico. E la vertiginosa libertà e disponibilità suggerisce in entrambi i casi un problema di responsabilità enorme. Ed entusiasmante. È ovvio (o almeno dovrebbe esserlo) che non crescerà o diminuirà l’assenso alle grandi questioni della fede grazie all’uso di Twitter o grazie alla presenza di temi religiosi o di proposte cristiane sui new media. L’assenso della libertà richiede il tempo, la finezza delle persuasioni, il mistero degli incontri. Ogni dabbenaggine in questo campo è misera, ed è costretta miseramente a fallire. Le prediche virtuali non fanno aumentare la fede, piuttosto contribuiscono a ridurre la fede a una opinione. Cioè al livello in cui si gioca la partita di un dibattito mediatico. Si può certo incontrare su un new media una parola che colpisce, che tocca e che introduce – ma soltanto introduce – a un percorso di curiosità e a percorsi ulteriori. Del resto, alla faccia di coloro che pensavano che la nostra sarebbe stata solo la civiltà dell’immagine, sta accadendo che mai come nella nostra epoca la parola è al centro dello scambio tra gli uomini. Parole certo spesso svilite, coatte a uscire in modo banale e misero da infiniti inviti a scrivere, a commentare a taggare, a twittare etc. Ma comunque parola, e dunque, portatrice di un problema di senso. E le parole più adeguate al mistero della vita sono state quelle che, fin dai primi discepoli, suscitarono curiosità intorno a Gesù. Non a caso, dopo che un noto giornalista ha scritto quasi sorpreso: «Ahò, ma qui siete tutti teologi?» è intervenuta una gentile signorina che sulla questione tenebre e luce ha chiesto: «Ma scusate all’inizio non era il Verbo?». Forse non volendo ha, al tempo stesso, dato un contributo al mini-dibattito teologico sull’inizio dei tempi, e indicato perché twittando qui al nostro estremo dei tempi, è alla parola che ci affidiamo per conoscere il mondo e i segni del nostro destino.