Il Caravaggio di San Luigi dei Francesi, ha raccontato il Papa a
Civiltà Cattolica, gli è caro; e spesso, nelle sue visite a Roma, andava a contemplare la Vocazione di Matteo. È, quel capolavoro, posto in una cappella laterale in fondo alla chiesa, in penombra. Oltre ai turisti, capita talvolta di vedere qualche visitatore solitario, assorto nel gesto di Cristo che indica il pubblicano; e in quello sguardo che dice semplicemente “Seguimi!”, e null’altro. Tutto in uno sguardo. Quello stesso su cui di nuovo il Papa si è fermato ieri a Santa Marta, come tornando su qualcosa di fondamentale e di caro: «Quello sguardo – ha detto – ha coinvolto Matteo totalmente, gli ha cambiato la vita. Lo sguardo di Gesù ti alza, ti invita a alzarti. Ti porta a crescere, a andare avanti, perché ti vuole bene. E questo dà il coraggio per seguirlo: “Ed egli si alzò e lo seguì”». Tutto comincia in uno sguardo, che Francesco ha su di sé sperimentato: («Quel dito di Gesù così, verso Matteo. Così mi sento. Così sono io. Come Matteo. Un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi»). E poche ore dopo la pubblicazione di un’ intervista che ha appassionato e anche diviso, il Papa torna su quel luogo del Vangelo. Sul peccatore avido che abbandona il suo banco e le sue monete, semplicemente per il modo in cui è stato guardato da Cristo. Il coraggio di alzarsi, viene da lì, da quello sguardo di misericordia. Come di uno che veda in te, per quanto povero tu sia, un bene grande, un tesoro nascosto, e fiducioso aspetti che tu stesso dispieghi quel tesoro. Colpisce anche come Francesco, in quel capolavoro, individui Matteo non, come vorrebbe la maggior parte della critica, nel vecchio con la barba, ma invece nel giovane a capo chino su una manciata di denari. Matteo, per Bergoglio, è il più disperato di quella compagnia, sorpresa dal gesto di Cristo come da un raggio di luce.Misericordia eccessiva, o addirittura buonismo, ha borbottato qualcuno fra i credenti, leggendo l’intervista a padre Spadaro. Ma ecco che Francesco ci riporta davanti alla vocazione di Matteo per dirci come la fede comincia, e come opera. Prima di tutto c’è – in un padre, in un prete, in un maestro o in un amico – quello sguardo buono che sembra vedere in noi molto di più di ciò che dolorosamente sappiamo di essere. Prima di tutto c’è la misericordia di qualcuno che ti vuole bene, ed è certo che in te c’è del bene. Poi, ma solo come conseguenza, chi è guardato così riesce a alzarsi, e lentamente a cambiare. Come a dire che è l’incontrare Cristo ciò che porta un cristiano a un comportamento morale; l’onestà, la rettitudine, il rispetto per l’altro, sono le conseguenze di quello sguardo, e non invece il contrario. Come ha ribadito Francesco a Santa Marta ieri: «Questo dà il coraggio per seguirlo: “Ed egli si alzò e lo seguì”». Certo, per sentirsi così radicalmente interpellati da uno sguardo misericordioso occorre avere la intima coscienza di essere dei peccatori; quella che Bergoglio ha, e dichiara apertamente; quella che noi spesso non abbiamo, e tanto più se siamo gente normale, che non ammazza e non ruba e cerca di essere onesta: allora quell’abbandono, quell’umiltà di Matteo possono diventarci drammaticamente difficili. Ma il Papa, come insiste nel ricordarci questo primato della misericordia, questo potere di uno sguardo di misericordia. Non lo cerchiamo forse, senza magari saperlo, questo sguardo, nei volti di chi abbiamo accanto? Una madre, una sorella, un amico; se ci pensiamo, alla radice degli affetti più grandi c’è proprio uno sguardo così. Sguardo che in molti riconosciamo anche in quest’ uomo appena sei mesi fa a tanti di noi sconosciuto. «Io non sono abituato a parlare alle masse – ha detto a <+corsivo_bandiera>Civiltà Cattolica<+tondo_bandiera> –, io riesco a guardare le singole persone, una alla volta».È questo che avvince anche i più lontani, nel Papa? Un modo dello sguardo. Un guardare uno alla volta, e nel cuore. Un modo appreso forse, anche, in solitarie contemplazioni di un certo Caravaggio, in fondo a San Luigi dei Francesi, nell’ombra. Quando Jorge Bergoglio guardava quello straordinario quadro. Ma forse, anche, quel Caravaggio guardava lui.