Opinioni

Le nostre tracce elettroniche. Tutti quelli che ci spiano

Gigio Rancilio sabato 8 giugno 2013
Che un governo spii i propri cittadini è un fatto gravissimo e allarmante. Talmente grave da far traballare la poltrona di Barack Obama e il governo degli Stati Uniti. Lo scandalo, che tocca anche i servizi segreti inglesi (ai quali l’America passava dati sensibili sui suoi cittadini), si allarga di ora in ora. Ogni volta che scopriamo un nuovo elemento di questa storia, la nostra preoccupazione sale. Ci fa giustamente paura l’idea che qualcuno possa spiarci. La cosa strana è che tutti noi (pochissimi esclusi) accettiamo senza grandi patemi d’animo di essere spiati ogni giorno da un "governo globale", quello tecnologico.Ogni volta che usiamo un telefono, un computer collegato a Internet, un bancomat, una carta di credito e persino la tessera a punti del supermercato, lasciamo quelle che vengono chiamate "tracce elettroniche". Tanti indizi che svelano i nostri gusti, i nostri acquisti e le nostre idee. Ne seminiamo a bizzeffe. E lo facciamo senza paura che qualcuno li usi o che ci controlli come fa il Grande Fratello di Orwell. Pensiamo: io non ho niente da nascondere. Ed è probabilmente vero. Ma quelle tracce vengono lo stesso usate "contro di noi". Per esempio, se cerchiamo su un motore di ricerca un hotel in una località, nei giorni successivi una buona fetta della pubblicità che ci apparirà sul web ci offrirà prodotti simili a quello che cercavamo. E ancora: ciò che rende miliardari e potenti social network come Facebook e Twitter non sta nel numero di iscritti, ma nella quantità di dati sensibili dei loro utenti di cui entrano in possesso. Ogni commento, ogni foto, ogni amicizia che stringiamo "interferisce" con quello che facciamo e modifica l’offerta economica che ci verrà proposta di lì a poco. Non solo: grazie alle nostre tracce elettroniche, molte aziende ottengono in tempo reale delle approfondite ricerche di marketing sui loro prodotti che altrimenti costerebbero cifre impossibili. E le più grandi pagano fior di società per curare la reputazione dei loro marchi sui social network, controllando tutto ciò che si scrive di loro e condizionando le opinioni degli utenti.Anche il protagonista del film "Nemico pubblico", impersonato da Will Smith nel 1998 (pochi anni dopo la nascita di Internet), non si preoccupava delle tracce elettroniche che lasciava nella sua vita. Finché la Nsa, cioè quella stessa National Security Agency ora nella bufera negli Usa, decise di braccarlo, usandole contro di lui. Poi venne il più visionario "Minority Report" di Spielberg, con Tom Cruise, in cui grazie a tre "veggenti" e un super-computer i criminali venivano arrestati ancor prima che commettessero reati. Ora in tv c’è "Person of interest" con due strani eroi (un genio informatico e un ex marine tutto muscoli) che salvano persone scelte da un mega computer in grado di tracciare i profili di ogni essere umano che passi davanti ad una telecamera stradale o lasci una traccia elettronica.Ci piaccia o no, la distanza tra la finzione cinetelevisiva e la realtà si sta accorciando sempre di più. In qualche modo siamo tutti "spiati". Più come potenziali acquirenti che come possibili criminali. Il Grande Fratello del commercio non vuole sapere "solo" i nostri gusti, ma punta più in alto. Attraverso una disciplina che si chiama «data mining» – e che elabora tutte le tracce elettroniche lasciate – vuole arrivare a prevedere ciò che compreremo, per recapitarci attraverso cellulari, tablet e computer un’irrinunciabile offerta "su misura", un attimo prima di quando acquisteremmo il prodotto che cerchiamo. Così si batte la concorrenza. Così si vende di più. Così si rendono le persone sempre più acquirenti e meno soggetti. Poi ci sono le varie Nsa governative e il dibattito su quali siano i limiti che un governo possa superare per i cosiddetti "interessi nazionali". Resta però una domanda: perché ci fanno così paura le spie governative, mentre ci arrendiamo sorridenti, armi e bagagli, a quelle del commercio?