Il direttore risponde. Tutte le bombe generano «barconi» per fermarli davvero serve giustizia
Gentile direttore,
sono molto meravigliato che delle persone istruite e di una certa responsabilità pensino, progettino e dicano sul serio che bisogna “danneggiare” o “distruggere” i barconi dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo (e altrove), anche se nessuno sembra ritenere che sia l’unica soluzione. Anche a me era venuta questa idea, come una reazione immediata, istintiva a un fenomeno vergognoso e certamente da arrestare. Però, in pochi secondi, ho fatto due semplici considerazioni: la prima è che “fermare i barconi” è la cosa che viene in mente a chi vede arrivare i barconi e non si rende conto che, in effetti, il problema non sono i barconi. Mi spiego meglio: immaginiamo che ci siano molti suicidi di persone che si buttano dalla finestra, per reagire basterebbe forse costruire palazzi senza finestre? Distruggere i barconi – e quanti, poi, tutti? – servirebbe solo ad aumentare i prezzi dei viaggi e a sviluppare la fantasia dei trafficanti. Perché la seconda considerazione è che le migrazioni e lo sciacallaggio dei trafficanti non dipendono dalla disponibilità di barconi, ma dalla disperata necessità di salvare la pelle e dalla coscienza perversa di chi approfitta degli esseri umani in queste condizioni. Io direi che, se proprio dobbiamo “distruggere”, potremmo provare a distruggere le barriere ideologiche, economico/finanziare, sociali che abbiamo imposto nei secoli ai popoli delle migrazioni forzate. Se i popoli africani fossero stati liberi di svilupparsi autonomamente (cioè secondo le proprie risorse e la propria cultura) e in pace, ora staremmo parlando di barconi in partenza da Lampedusa – o magari da Venezia – per la Libia, la Tunisia e l’Egitto.
padre Sergio Cerracchio sj - Napoli