Opinioni

editoriale. Psicosi, ansie, tumori. I rischi per chi fuma spinelli

Carlo Bellieni giovedì 20 marzo 2014
La Corte Costituzionale il 12 febbraio ha detto che la legge Fini-Giovanardi sull’uso degli stupefacenti non è accettabile, decisione assunta non per un problema inerente la finalità della legge (che dava sanzione uguale per ogni tipo di droga) ma perché la norma è stata emanata in contrasto con l’articolo 77 della Costituzione. E da oltre un mese, si può dire a giorni alterni, leggiamo titoli di giornali esultanti come se, caduta la legge, tornasse normale distinguere tra droghe leggere e pesanti, distinzione più che clinica, semplicemente amministrativa. Ecco allora tanti ripetere la solita storia che la marijuana è una droga leggera, che anzi «aiuta a stare meglio».
Ma le cose stanno diversamente, e a ricordarcelo spesso ruvidamente è la cronaca quotidiana. Che nei giorni scorsi – solo per fare l’esempio più recente – ci ha messi di fronte a tre liceali milanesi finiti al pronto soccorso per uno spinello fumato all’intervallo, accusando forti giramenti di testa e difficoltà a respirare. Ma come: non dicono che è una droga "leggera"? Nessuno nega che le molecole chiamate cannabinoidi (presenti in natura sotto varie forme) abbiano un effetto analgesico; ma un conto è una molecola curativa e un conto lo spinello. Per capirci, il principio attivo dell’aspirina deriva dalla corteccia del salice; ma ci si cura con l’aspirina, non fumando la scorza di un albero, perché per curare si deve dare il principio attivo certificato dal laboratorio, senza sostanze estranee, e nelle dosi prescritte. Troppo semplicistico – e forzato – è il sillogismo per cui il cannabinoide è analgesico, nello spinello c’è anche il cannabinoide e dunque lo spinello è un analgesico (e quant’altro).
Chiarito che non è "lo spinello" a essere curativo, va ricordato con estrema chiarezza che la letteratura scientifica recente riporta con dovizia di argomenti i rischi per la salute dell’"innocuo" spinello. L’ultimo numero di Brain, behaviour and Immunity riporta una rassegna della letteratura scientifica che mostra come la cannabis abbassi le difese immunitarie e alteri la funzione di alcune cellule nervose, facendo supporre che questo duplice effetto sia quello che lega lo spinello alla manifestazioni di psicosi in alcuni tossicodipendenti. Già, perché c’è un legame tra psicosi – in particolare la schizofrenia – e uso di marijuana, come mostra ad esempio il più recente fascicolo dell’Annual review of Clinical Psychology: «Dato che studi longitudinali indicano che l’uso della cannabis precede i sintomi psicotici – vi si legge – sembra ragionevole indicare un rapporto di causa effetto». Dati simili si trovano su Psychiatric Research di gennaio, mentre nel dicembre 2013 il Journal of Psychiatric Research mostrava che l’uso di cannabis interferisce con l’autocoscienza, la memoria e crea stati di ansia anche a distanza dall’assunzione. Negli Stati Uniti si stanno prendendo le misure al dilagare del consumo seguito alla legalizzazione in alcune aree, tanto che in un recentissimo numero la rivista Nature Medicine titola: «Dopo lo spinello libero, servono nuovi farmaci per contrastare l’incremento nell’uso di marijuana» per via dell’assuefazione che ne consegue. Anche un panel di esperti Usa, allarmati dalla legalizzazione, raccomanda sulla rivista Substance Abuse (aprile 2013) che almeno venga ben impresso sui pacchetti tutta l’impressionante rassegna di rischi correlati: rischi nella guida, problemi per la salute di cuore e polmoni, danni al feto, conseguenze sullo sviluppo neurologico e mentale...
Certo, tutti questi sono rischi e non una certezza di ammalarsi. Ma il fatto che qualche amico non abbia registrato conseguenze sulla propria salute non autorizza a dire che quanto riporta la scienza nelle pubblicazioni scientifiche più autorevoli sia niente più che un cumulo di fandonie. Chi ancora crede alla favola della "droga leggera" consulti quantomeno i siti medici. Quello della Mayo Clinic dà un elenco sterminato dei rischi della marijuana che, in aggiunta ai suddetti, vanno dal sanguinamento all’abbassamento di pressione, dal glaucoma ai danni epatici. Il consumo di cannabis può interferire con lo sviluppo del feto e del cervello del fumatore adolescente, e addirittura dare alterazioni cromosomiche, tanto che anche l’American Academy of Pediatrics è assolutamente contraria alla liberalizzazione della marijuana.
Ora, potrebbe sembrare giustificato chi ignorasse simili evidenze con la scusa che si tratta di ricerche scientifiche, dunque appannaggio di specialisti. Ma se è pur vero che i mass media nella loro grande maggioranza purtroppo da un mese insistono nel banalizzare la "canna", altri ne parlano correttamente. Ad esempio la popolare rivista di divulgazione scientifica Focus riporta online un lungo servizio intitolato «Cannabis droga leggera? Un falso mito da sfatare», riportando tra gli altri i dati del Ministero della Salute. Ecco cosa si legge: «Oltre agli effetti neurologici, fumare marijuana provoca al fisico più danni del consumo di tabacco: ai classici sintomi correlati all’inalazione di fumo in generale (irritazione della gola, tosse, predisposizione a malattie respiratorie e infezioni polmonari) aumenta la percentuale di rischio di cancro ai polmoni e del tratto respiratorio, perché il fumo di marijuana contiene dal 50 al 70% in più di idrocarburi cancerogeni rispetto a quello di tabacco». E anche l’insospettabile New York Times ha pubblicato recentemente un libretto per gli educatori per seguire passo dopo passo gli studenti e dissuaderli dall’uso della cannabis illustrandone tutti i rischi, tra i quali quello della tossicodipendenza da "droga leggera" meno evidente e anche meno frequente ma tuttavia ben presente nella popolazione americana. Ignorare questi dati di fatto oggi dunque non è più possibile, e chi d’ora in poi banalizzerà l’uso dello spinello – che spesso nasce da un disagio al quale non si sa rispondere in maniera positiva – farà scientemente un cattivo servizio ai giovani, confondendo le acque, tentando di trascinare (illegittimamente) sul terreno antiproibizionista una legittima sentenza della Consulta che ha sanzionato esclusivamente un vizio di forma.
Sconcerta che, proprio quando la scienza spiega sempre più chiaramente e nel dettaglio i rischi della cannabis, ancora ci sia chi spinge per la sua irresponsabile liberalizzazione. Solo un caso di scarsa cultura e di cattiva informazione? Oppure è un tratto caratteristico delle società occidentali, che quando non sanno come risolvere un problema, se è di quelli che apparentemente esaltano l’autonomia e l’indipendenza della persona, procedono a liberalizzare indipendentemente dai rischi che questa scelta comporta? Se così fosse, come sospettiamo, sarebbe una forma pilatesca di affrontare i problemi. Perché parlare tanto di liberalizzare la droga è voler evitare di parlare sul serio di disagio giovanile, una periferia esistenziale che pochi vogliono affrontare davvero. I giovani sono insoddisfatti di un mondo a corto di valori, ma gli adulti che tifano per liberalizzazione degli spinelli, che nel nome prima delle utopie e poi del relativismo hanno fatto di tutto per disgregare la cultura di un popolo, non sanno farci i conti. Preferiscono aiutare a scappar via.