Guerra e (dis)Unione d’Europa. Tutt’altra è la risposta
L’Europa che ha accolto con i massimi onori ieri a Bruxelles il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non sta ancora dando una risposta convincente alla crisi gravissima che il continente vive a causa della guerra d’invasione scatenata dalla Russia il 24 febbraio 2022. Un giudizio che forse può suonare immotivato e anche ingeneroso. Ma che può essere spiegato. La Ue si è subito dimostrata solidale con Kiev, ospitando dalle prime settimane del conflitto milioni di cittadini sfollati dalle zone bombardate.
Diversamente dal piano umanitario, a livello politico, economico e militare si è mossa però con tempi di reazione differenziati e non in modo coeso. È mancato infatti un convinto e continuato sforzo diplomatico comunitario per provare a bloccare lo scontro sul campo. Le sanzioni a Mosca sono state lente e progressive: nella prima fase si è finanziato di fatto il Cremlino con massicci acquisti di energia a prezzi record. Successivamente, si è riusciti ad avviare un deciso sganciamento dalla dipendenza da gas e petrolio russi, il vero risultato di questi mesi, che potrà pesare sulle capacità di Putin di proseguire con la sua strategia.
Il sostegno bellico è stato variegato tra i Paesi membri, con il maggiore sforzo proporzionalmente profuso da Polonia e Baltici, spaventati dalle truppe russe in avvicinamento ai propri confini. Più cauti i grandi fondatori, Francia, Germania e Italia, consapevoli che l’escalation sul campo di battaglia poteva (e ancora può) sfuggire di mano. Grazie all’apporto americano e britannico (motivato dai loro piani strategici), Kiev ha potuto per un anno non solo resistere alla maggiore forza d’urto dell’aggressore, ma anche contrattaccare, senza tuttavia che questo abbia portato a far intravedere l’uscita da una guerra sempre più sanguinosa. Il passo più recente e irrisolto dell’Europa è stata l’accelerazione sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione.
Non si tratta di valutare se il candidato soddisfi tutti i requisiti dello Stato di diritto, questioni che hanno spesso rallentato le procedure di adesione di altri Paesi. Il punto è che senza una soluzione accettabile e duratura della crisi – che deve quindi coinvolgere anche il Cremlino – non è possibile portare i confini orientali della Ue a ridosso della Russia né inglobare una nazione che non accetta ingiuste decurtazioni territoriali covando risentimenti e tensioni. In questa ambiguità di fondo, frutto anche di prospettive distanti e incompatibili fra i 27 membri, sono maturate le divergenze e gli sgarbi emersi plasticamente nelle ultime ore.
Si è “digerito” che Zelensky volasse prima a Londra che nelle sedi comunitarie, accettando implicitamente che il criterio sia solo quello della fornitura di armamenti; si è poi organizzato un incontro a Parigi con Macron e Scholz che ha escluso l’Italia, provocando la reazione della nostra premier, per certi versi comprensibile, per altri versi comunque frutto di tensioni che Roma ha causato con i partner storici. “Inopportuno” ha definito Meloni l’improvvisato vertice a tre, nel quale aperture sarebbero state fatte sulla concessione di jet da combattimento. Al Consiglio europeo è stato poi ridimensionato il “bilaterale” Meloni-Zelensky che doveva essere il gesto di riparazione. Resta la domanda sul limite cui vuole spingersi l’Europa senza strategia comune su un conflitto che, quando si discetta del prossimo ingresso dell’Ucraina, sembra essere pericolosamente sottovalutato.
Le cose non si sistemeranno da sole. La vittoria che anche ieri è stata augurata a Zelensky non può concretizzarsi se i suoi arsenali non verranno sempre più riempiti di nuovi e più letali strumenti. E questa non è comunque una garanzia di successo. Sullo sfondo resta la minaccia atomica di Vladimir Putin. Ma per percorrere altre strade serve un’idea precisa e una volontà condivisa, quella che da Bruxelles non è emersa. Molti partner danno ancora l’impressione di essere preoccupati di salvaguardare i propri interessi, mentre l’unico e vero interesse preminente dovrebbe essere quello di spegnere l’incendio che sta divorando decine di migliaia di vite, città, paesi, campagne e prospettive di pacifica convivenza dell’intero continente. Ecco perché dall’Europa, generosa patria dei diritti e futura casa dell’Ucraina, serve tutta un’altra risposta alla crisi epocale che stiamo vivendo.