Opinioni

Usa. Perché dopo il confronto Trump-Harris la partita per la Casa Bianca resta aperta

Andrea Lavazza mercoledì 11 settembre 2024

Un grande schermo rilancia il confronto tv tra Trump e Harris

Forse – non c’è una scienza esatta di queste materie – influenzerà la corsa alla Casa Bianca più la scelta della pop star Taylor Swift a favore della candidata democratica che il primo e probabilmente unico dibattito tra i due sfidanti. Sul palco di Philadelphia è andato in scena un confronto teso che non ha deluso le attese e che ha visto prevalere – per consenso quasi unanime – Kamala Harris. Non una vittoria che può cambiare radicalmente il corso della campagna elettorale, però. Il faccia a faccia di giugno tra Joe Biden e Trump si era rivelato disastroso per il presidente in carica provocando nel fronte democratico il terrore di una sconfitta irrimediabile e innescando il processo che ha portato alla sua rinuncia.

La vicepresidente, proiettata alla ribalta senza il tradizionale percorso di selezione, aveva il duplice compito di “farsi conoscere” e di precisare il proprio programma, mentre il suo rivale sembrava facilitato dalla possibilità di ribadire un copione collaudato che sinora lo premia nei sondaggi.

Harris ha provato a ribaltare questa narrazione pungendo Trump nel suo orgoglio di catalizzatore dell’energia americana: «La gente se ne va dai tuoi comizi noiosi. I grandi del mondo ridono di te», ha detto. E l’ex presidente, in gara per la terza volta consecutiva, è stato costretto sulla difensiva. Non è riuscito a affondare colpi significativi nemmeno sui temi a lui più congegnali e oggettivamente favorevoli. Ha evitato gli attacchi personali più grevi, ma è scivolato in quello che la rivale ha definito “estremismo”.

Gli immigrati haitiani rubano gli animali domestici e se li mangiano; i democratici vogliono l’aborto al nono mese e addirittura “l’esecuzione” dei bambini appena nati: i giornalisti della Abc hanno smentito in diretta le affermazioni del candidato repubblicano, che poi li ha accusati di parzialità.

Nessuna vera novità sul fronte dei programmi, piuttosto la conferma di alcune vaghezze: nella generosa politica economica di Harris (che ha accusato Trump sulla proposta di tassare le importazioni a danno delle famiglie) e nella “risolutiva” politica estera di Trump (che ha rimproverato a Harris di non difendere Israele).

Ma i dibattiti tv servono a dare la misura di un potenziale leader, a mettere in comunicazione il Paese con i governanti cui è chiamato a dare fiducia. Erano vietati persino gli appunti, le domande non erano state anticipate. Qui si è vista una nuova disinvoltura della vicepresidente, che guardava il rivale (lui era rivolto sempre alla telecamera) e ha mostrato una mimica accattivante (sbaragliata Hillary Clinton).

L’età contava prima (a parti invertite) e pesa oggi: la prossima sessantenne contro il settantottenne ha avuto buon gioco a ripetere più volte che lei non è Biden e rappresenta il futuro. Ma Trump è Trump, nel bene e nel male, la gente lo conosce ed è come uno sprinter agli ultimi metri, non deve nemmeno più spingere, la sua inerzia a meno di due mesi dal voto non avrà mutamenti. Harris, dicono le rilevazioni demoscopiche, ha invece ancora bisogno di diventare una figura familiare, di esporre le sue posizioni in modo più esplicito. La strategia iniziale di lasciare margini di ambiguità non può pagare in questa fase.

Ieri ha spiegato che non vuole bandire né le armi né le perforazioni per l’estrazione di combustibili fossili, come aveva fatto balenare in passato. Sono ambiti in cui vuole più regolazioni statali, non è chiaro quali. Sull’aborto e i diritti delle donne a scegliere ha insistito molto, attribuendo al tycoon un piano di lungo periodo, che va dalla nomina di giudici conservatori alla Corte suprema fino a una legge federale per vietare l’interruzione di gravidanza. Trump ora propone di lasciare la decisione ai singoli Stati e ha preso le distanze dalle dichiarazioni più nettamente pro-life del suo vice J. D. Vance. È un tema lacerante per la società americana, il più divisivo, certamente quello chiave insieme all’immigrazione e alla situazione economica.

E qui compare Taylor Swift, ben più di una musicista e cantante, che ai suoi concerti provoca letteralmente piccoli terremoti. Persino la campagna repubblicana ha cercato di “arruolarla” con un falso video. Su Instagram, Swift ha scritto che ha “fatto ricerche” scegliendo quindi di appoggiare Harris, con lo sberleffo ai repubblicani della firma “gattara, senza figli” (per ora).

L’invito ai giovani perché facciano lo stesso, si registrino e vadano ai seggi è una spinta che può cambiare l’esito in qualche Stato in bilico, dove sono poche migliaia di voti a fare la differenza. In ogni caso, l’artista globale si dimostra in sintonia con la necessità della candidata democratica: le servono modi di arrivare in fretta all’attenzione di un elettorato distratto che non ha tempo né voglia di studiare quale sia la sua agenda per la Casa Bianca e si affida più volentieri agli influencer sulla Rete.

Visto dall’Europa, il dibattito non ha regalato particolari novità o rassicurazioni sul ruolo globale degli Stati Uniti. Trump è troppo vicino a Netanyahu per dare garanzie di pace in Medio Oriente. Harris ha chiamato Putin “dittatore” e deve ancora costruirsi una visione e una squadra per la politica internazionale. In definitiva, la vicepresidente esce rafforzata, a decidere le elezioni saranno gli argomenti interni all’America, le grandi sfide per il nuovo inquilino della Casa Bianca saranno tuttavia quelle esterne che tengono il Pianeta con il fiato sospeso.