Botta e risposta. Il Reddito di cittadinanza non va abolito. Ma ecco 6 cose da cambiare
Un Caf a Napoli
Gentile direttore, sui media si sta dando molto spazio ai 'furbetti' che usufruiscono del reddito di cittadinanza senza averne diritto. Sul milione circa che stanno beneficiando di questo reddito qualche decina o forse centinaia sono stati beccati dalla Guardia di Finanza e denunciati alla Magistratura come ladri e questo va benissimo, se non che a muovere l’infittirsi di queste notizie sui disonesti sia l’intento di screditare questo provvedimento contro la povertà, oltre che la parte politica che lo ha promosso. Ora, ci sono anche molti falsi pensionati di invalidità che, tramite medici compiacenti e vari funzionari corrotti, ottengono delle pensioni di invalidità alle quali non avrebbero alcun diritto, ma nessuno per tale grave motivo afferma che sarebbe meglio eliminare l’istituzione delle pensioni di invalidità solo perché alcuni disonesti ne approfittano. Voglio insomma dire che è bene avere uno strumento per dare soldi a chi ne ha bisogno ed è bene perseguire chi ne approfitta illegalmente, ma bisogna anche lasciare che i tanti che hanno veramente bisogno non siano coinvolti da strane manovre e vedano messo a rischio il pane quotidiano dalle malefatte di una minoranza di furbetti. Teniamo sempre presente, rivisitando un vecchio e famoso 'detto' andreottiano, che i soldi logorano chi non ce li ha.
Carlo Pertile Vicenza
Gentile dottor Pertile, il direttore mi incarica di risponderle e io non posso che dirmi perfettamente d’accordo con lei. Le truffe, purtroppo, sono sempre esistite e probabilmente sempre esisteranno. Prima si registravano, come lei ricorda, sulle pensioni d’invalidità, ma non di meno sui sussidi di disoccupazione, percepiti ad esempio da persone che non avevano mai lavorato in agricoltura, mentre nei campi al posto loro venivano sfruttati immigrati. Oppure sugli assegni per la maternità.
Appena un mese fa è emerso il caso di una donna di Roma che aveva inventato ben 16 gravidanze, il record di una all’anno tra 2001 e 2018, incassando indebitamente sussidi per oltre 100mila euro. Nulla di nuovo, dunque, le truffe di qualche centinaia di percettori del Reddito di cittadinanza (Rdc). Piuttosto, il relativamente alto numero di casi emersi evidenzia come i controlli di Inps e Guardia di Finanza si siano fatti più mirati e serrati, grazie anche all’incrocio delle banche dati. E, in diversi casi, proprio la domanda per il Rdc ha innescato indagini patrimoniali sui soggetti richiedenti, che hanno consentito di individuare altre attività illecite: dal lavoro nero allo spaccio di stupefacenti.
Non sono le percezioni indebite, dunque, motivi validi per decretare il fallimento di questo strumento e privare del necessario sostegno le persone povere. Anzi, ripetiamolo ancora una volta e con chiarezza, nel contrasto alla miseria indietro non si può tornare. Né in termini di risorse finanziarie impiegate né di energie e impegno. Questo non significa che tutto debba restare com’è.
Al contrario, varato con una certa fretta, il Rdc presenta diversi difetti che è possibile correggere ora. Alcuni li avevamo segnalati su queste colonne fin da subito ( Leggi ), quando ancora il decreto era una bozza. Su altri nodi, il governo Conte I lo scorso anno si era confrontato con l’'Alleanza contro la povertà': un dialogo che oggi va ripreso e infittito.
Sono almeno 6, infatti, le aree di possibile miglioramento su cui agire adesso. Anzitutto, il riequilibrio dell’entità del sussidio tra il singolo e le famiglie. Basta adottare una migliore scala di equivalenza (almeno quella dell’Isee) per evitare di penalizzare i nuclei più numerosi con minori (di fatto i più bisognosi di sostegno).
Secondo, ridurre a non più di 5 anni, rispetto ai 10 attuali, il limite di residenza previsto per i cittadini italiani e stranieri, eliminando le richieste più complicate e costose di documenti dai Paesi esteri.
Terzo, prevedere per chi trova un’occupazione a termine solo la sospensione dell’assegno del Rdc – o addirittura la coesistenza per un periodo limitato – in maniera da evitare una delle cosiddette 'trappole della povertà', per le quali chi percepisce il sussidio, pur di non perderlo, rifiuta lavori temporanei a bassa remunerazione.
Quarto, collegare l’entità del Rdc alla soglia di povertà corretta per costo della vita nel territorio (Nord/Sud, Città/Piccolo comune) in maniera che sia più equo: è semplice, basta rifarsi alle statistiche Istat come avveniva per il Rei. E, quinto, sulla falsariga di quel modello, va ulteriormente potenziato il ruolo degli enti locali nella presa in carico dei soggetti richiedenti. La povertà, infatti, è quasi sempre multifattoriale, non dipende solo dalla disoccupazione e dunque va analizzata e trattata da chi è più vicino alle famiglie bisognose, come sono i Comuni e le Asl con il personale socio-sanitario. Il sesto e ultimo punto – ma non certo per importanza – è quello del lavoro per i disoccupati.
Su questo il Movimento 5 Stelle ha compiuto un duplice e grave errore: uno di comunicazione, descrivendo il Rdc come lo «strumento con il quale si sarebbe trovato un lavoro ai poveri», mentre si tratta principalmente di un 'sostegno vitale' a chi è nel bisogno. E l’altro un peccato di presunzione: pensare che bastasse spendere 200 milioni in un biennio, assumere 3.000 navigator e rendere disponibile un’App per fare ciò che né la Legge Biagi, né il Jobs Act, passando per la Garanzia Giovani e una riforma dei servizi bloccata dal referendum istituzionale, sono riusciti a determinare negli ultimi due decenni. Cioè: potenziare, modernizzare e rendere efficaci le politiche attive del lavoro, in stretta sinergia tra pubblico e privato.
Oggi, per il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, 'madre' di quella proposta di legge e appassionata paladina del Rdc, il modo migliore per difendere non solo i propri progetti politici, ma soprattutto per tutelare i poveri evitando che siano strumentalmente privati dei sostegni, è sedersi a un tavolo e studiare i correttivi necessari al Reddito di cittadinanza. Con umiltà, disponibilità al confronto e volontà di cambiare.