Questa società. Trovare frequenza d'ascolto, porte d'uscita e sentieri
Esistono stagioni dell’esistenza, passaggi d’età, condizioni particolari in cui la vita ci appare carica di senso in virtù dell’incantata alchimìa del momento: raggiungere un traguardo lavorativo a lungo sognato, disvelare alla persona amata i nostri sentimenti, tenere tra le braccia un figlio appena nato. Sono momenti preziosi, ma per la verità, piuttosto rari, infrequenti, rispetto a una quotidianità per i più routinaria, faticosa e, purtroppo, densa di preoccupazioni e allarmate previsioni. Uno psichismo che produce in molti una stanca adesione quotidiana, un senso di svogliato trascinamento delle proprie cose, una perdita verticale di senso. Perdita di senso che porta persino a una profonda crisi identitaria: chi sono io, quello tutto casa/lavoro/smartphone/ tv ogni giorno allo stesso modo?
Ma l’essere umano, e qui sta il punto, è carsicamente reattivo e autoconservativo, dunque il senso se lo cerca dove può: e ora che le grandi narrazioni delle ideologie hanno fatto il loro tempo, non va dalla ricerca di nuove e alte visioni del mondo (e come potrebbe, immerso nella fanghiglia del cinismo); né cerca teorie forti e sistemiche che lo rassicurino con la limpidezza di un pensiero ermeneutico. Quando mai: l’essere umano non vive nell’attesa infinita di una grande soluzione, si adatta, ridimensiona le sue più celate aspirazioni, si fa addomesticare da piccole patrie, da piccole narrazioni.
Patrie locali, certamente, confini geografici ristretti, con il mare o i monti dell’infanzia, il paesaggio scaldato dalla presenza dei primi affetti. Ma non solo: oggi sono pronte tante forme di appartenenza à la carte, non soltanto di territorio, di geografie locali. Sono disponibili simulacri, scorciatoie identitarie, soffici, comode, a portata di mano, apparentemente fragili come carta velina, che invece riescono a sorreggere le giornate di tanti: per esempio la comunità di quelli che amano le fiction di ambientazione medievale, che commentano sui social appassionatamente le vicende dell’ultima puntata, e organizzano tornei in abbigliamento trecentesco sotto le arcate di un acquedotto romano... oppure quelli/e fashion addicted (modadipendenti) sanno tutto delle griffe, del glamour, della cosmesi e, anche se non possono comprare niente, seguono gli andamenti del mondo della moda sognando di fare un giorno la/il giornalista di settore; oppure quelli che frequentano una palestra con qualche ambizione e sanno tutto della vita dei trainer più famosi, vanno a caccia di un incontro ravvicinato e si gloriano di averne uno come amico. O l’identitaria identificazione nella sempreverde appartenenza calcistica. Senza contare che queste identità di carta possono coesistere nella stessa persona regalandole l’illusione di una pienezza e di una libertà tutta apparente.
Anche se questo vuoto stringe il cuore, dobbiamo saper guardare oltre, immaginare nuove forme di ascolto, nuovi atteggiamenti di comprensione. Perché è importante questa presa di consapevolezza? Perché dobbiamo essere in grado di intercettare la 'frequenza radio' su cui oggi molti si muovono, soprattutto dobbiamo saperci girare per guardare il mondo anche da quella angolazione. E se non ci riesce di capire l’efficacia di certi messaggi il problema è nostro, perché vuol dire che non riusciamo a uscire da noi stessi e ad 'ascoltare' veramente l’altro così com’è, anche con le sue pochezze, i limiti, l’umanità intorpidita. Un Altro che è stato abbandonato alle manipolazioni pubblicitarie e al trash più debordante per farne un perfetto consumatore. E che spesso oggi non consuma neanche più, stritolato da un sistema che non aveva messo in conto l’implosione delle sue contraddizioni. Usciamo dai gradevoli salotti e usciamo anche dalle rassicuranti parrocchie. «Troviamo il coraggio di cercare le pecore che si sono perse che vanno per sentieri che non abbiamo mai battuto ». Lo ha ripetuto papa Francesco nel recente incontro con la Diocesi di Roma. Accogliamo il suo invito.