Mentre con la pubblicazione dei voti degli esami e il bilancio di promossi e bocciati si conclude del tutto l’anno scolastico, una circolare ministeriale incombe su quello nuovo, che comincerà a settembre. Si tratta di un documento datato 6 marzo 2013 e noto agli insegnanti come "la circolare sui BES". L’acronimo BES sta per "bisogni educativi speciali", quelli che si riferiscono a particolari situazioni di difficoltà, per lo più riguardanti patologie e disabilità di diverso genere. Finora a certificare tale condizione era l’autorità medica: sulla base delle certificazioni prodotte, le scuole potevano decidere di assegnare di un docente di sostegno oppure, nel caso disturbi come la dislessia, di introdurre le cosiddette «misure dispensative e compensative» (per esempio la sostituzione delle verifiche scritte con prove orali oppure la riduzione della mole dei carichi didattici). Ora la prospettiva cambia: con questa circolare il ministero dell’Istruzione invita ad ampliare il raggio di intervento della scuola a favore degli alunni con difficoltà, chiedendo ai consigli di classe di agire autonomamente, anche in assenza di certificazione medica, sulla base delle proprie osservazioni pedagogiche, proponendo, in casi specifici, una personalizzazione della didattica, come scrive il documento «nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni». Gli intenti alla base della circolare sono ovviamente condivisibili: tutti noi desideriamo una scuola più aperta alle diversità, più attenta ai bisogni dei singoli e, appunto, più «inclusiva». Tuttavia, gli insegnanti – che nelle ultime settimane si sono trovati a confrontarsi con il documento ministeriale e a riflettere su come applicare concretamente questi principi nel prossimo anno scolastico – hanno espresso diverse perplessità. La prima riguarda l’estensione dei bisogni educativi speciali – citiamo ancora la circolare – allo «svantaggio sociale e culturale» e alle «difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana». In quest’ultimo caso, il riferimento è al numero sempre crescente di studenti di famiglie immigrate: ma se l’insufficiente padronanza della lingua italiana da parte di un ragazzo straniero è un dato oggettivo, quando si parla, genericamente, di «svantaggio sociale e culturale» si entra in un campo minato. Come prenderebbe una simile "diagnosi" una famiglia italiana? Una tale "etichetta" sul proprio ragazzo non rischierebbe di essere percepita come offensiva o colpevolizzante nei confronti dei genitori? Se poi parliamo di patologie vere e proprie (ritardi di apprendimento, dislessia ecc.), ai docenti potrebbe essere obiettato che non sono medici e che quindi non hanno titolo a pronunciarsi in proposito. Avendo insegnanto nell’ultimo anno in una sezione ospedaliera, ho visto genitori rifiutare di fatto le diagnosi formulate da psichiatri e psicologi sulle patologie dei loro figli, che magari erano anche ricoverati per mesi in reparto: una difesa inconscia, un modo per difendersi da una realtà difficile. Perché la malattia e il disagio mentale fanno ancora paura, non sempre siamo pronti ad affrontarli quando riguardano persone che ci sono vicine. Possiamo immaginarci quale sarebbe la reazione di certi genitori se fossero le maestre a metterlo nero su bianco? Insomma, se da un lato è bella l’idea di sensibilizzare sempre più la scuola rispetto all’individualità delle situazioni concrete dei ragazzi, c’è da esprimere qualche remora sull’opportunità di caricare i consigli di classe di un lavoro e di una responsabilità per i quali non sempre i docenti sono stati formati e dotati di opportuni strumenti. Si dice che a sospettare si fa peccato, ma spesso ci si azzecca: i sindacati della scuola hanno fatto osservare che questa circolare segue la drastica riduzione, negli ultimi anni, del numero dei docenti di sostegno. Inoltre, sono sempre più scarsi i fondi assegnati agli istituti per organizzare corsi di italiano come lingua straniera per gli alunni che ne abbiano bisogno. Ma ci si chiede anche un’altra cosa: come si può pensare seriamente a una didattica personalizzata in classi che possono arrivare a 32 alunni? Per migliorare l’offerta didattica, più che nuove circolari, sarebbero urgenti investimenti adeguati.