Coronavirus. Troppe parole in libertà: con i morti non si scherza
Il vero eroe del romanzo di Camus, 'La Peste', uscito nel 1947, è un fragile e oscuro funzionario comunale, Joseph Grand, personaggio descritto come insignificante e sbiadito, per quanto puro nell’animo. Il suo merito è quello di fare bene il suo lavoro, registrando meticolosamente le cifre del contagio che si diffonde in città. La citazione dovrebbe aiutarci a comprendere e accettare una verità semplicissima, troppo spesso trascurata: i numeri di una pandemia sono fondamentali, vanno raccolti bene, studiati ancora meglio e resi disponibili in modo che le persone possano capire cosa sta accadendo.
Il problema di un’emergenza sanitaria di questo tipo è riuscire a fare la cosa giusta in sufficiente anticipo, ed evitare che la situazione sfugga di mano. Per essere tempestivi, però, serve il consenso popolare, perché una percezione distorta del pericolo lascia ampi margini a chi vuole raccontare una storia diversa e lucrare facili vantaggi. Il virus si alimenta proprio di queste divisioni. Non è detto che le misure adottate siano corrette, e su questo si può discutere.
Ciò su cui non vi dovrebbe essere margine di contesa è il confronto sui numeri. Quali? In questo momento il Covid-19 è responsabile di oltre 400 morti al giorno e la progressione recente ci dice che tra 10-15 giorni i decessi saranno il doppio. Ogni previsione deve tenere conto delle misure che nel frattempo sono state introdotte, i lockdown locali e nazionali. Purtroppo prima di poter registrare un effetto sui contagi devono passare circa dieci giorni, altri dieci per vedere effetti sui ricoveri nelle terapie intensive, un mese per incominciare a notare un impatto sul numero di morti.
Quando si cerca di spiegare ai bambini la velocità della luce si ricorre a un esempio che per quanto semplice continua a sconvolgere anche i grandi: quella stella che si vede oggi brillare nel cielo può essere già morta milioni di anni fa. Per un’epidemia non è molto diverso: ciò che registriamo e facciamo oggi è una realtà ormai superata. Ci sono persone vive oggi che sono già morte. Di questo dovrebbe tenere conto chi continua a giocare con le parole, a rivendicare spazi di notorietà fingendo di non vedere ciò che accade, dimenticandosi che c’è uno tsunami in arrivo in tutto il Paese, non solo in qualche provincia, e che dietro gli stereotipi e la retorica ci sono sofferenze vere e lutti veri.
L’Organizzazione mondiale della sanità certifica ad esempio che oltre il 30% di posti occupati da pazienti Covid, un reparto di terapia intensiva incomincia a entrare in difficoltà. Con il 50% i problemi diventano seri perché non si riescono più a curare bene le persone, anche quelle con patologie diverse dal Covid. In questo momento molte regioni hanno superato la soglia del 30%, Toscana, Marche, Trentino Alto Adige e Campania sono vicine al 50% di occupazione totale delle terapie intensive, Piemonte, Lombardia, Val D’Aosta e Umbria si trovano tra il 65 e l’80%. Sono medie, che non tengono conto delle differenze territoriali né dell’emergenza nelle metropoli. Dove saremo tra due settimane? I numeri possono cambiare, ma difficilmente mentono. Se si sono commessi molti errori è anche perché non stiamo raccogliendo bene i dati. I problemi sorti nella definizione di zone rosse, gialle o arancioni sono dovuti anche al fatto che diverse Regioni hanno comunicato cifre superate o incomplete.
Da tempo gran parte della comunità scientifica italiana chiede, purtroppo invano, di poter accedere ai dati del contagio per fare ricerca e mettere le proprie competenze a disposizione della politica e del Paese. Invece, persino un dato importantissimo come quello delle terapie intensive, è diffuso solo come saldo tra entrate e uscite, cioè senza dire la cosa più importante: quanti effettivamente entrano in rianimazione e quanti ne escono. Un paradosso, se pensiamo a quale mole di dati poco decifrabili entra ogni giorno nelle nostre case e nelle nostre teste.
È un momento difficile per tutti e ci aspettano giorni ancora più difficili. La sola cosa che dovremmo fare in questo momento è sospendere la contesa, evitare le parole fuori dalla nostra portata e agire in quanto comunità considerando che il virus viaggia alla velocità della luce. Nel romanzo di Camus, l’insignificante funzionario comunale Joseph Grand, che come tanti svolge con onestà e umiltà il proprio lavoro, lontano dai riflettori, è il primo cittadino a guarire dalla peste. Il giorno di Natale.