Tre piaghe e un azzardo. Putin e il suo potere sulla Russia
Formalmente la riforma costituzionale annunciata da Vladimir Putin allo scoccare dei vent’anni della sua salita al potere e a quattro anni di distanza dalla scadenza del suo mandato sembrerebbe congegnata per indebolire i poteri presidenziali a favore di una ridistribuzione della sovranità nei confronti della Duma e dei governatori offrendo al Parlamento il potere di confermare il primo ministro e il suo governo e preparare così una successione non traumatica al putinismo.
Una porta sorprendentemente schiusa verso la tanto vituperata democrazia liberale, la stessa democrazia che non più tardi di quattro mesi Putin in un’intervista al "Financial Times" aveva definito antiquata e sorpassata. Formalmente, appunto. Ma se leggiamo fra le righe dei provvedimenti che si preannunciano il quadro appare ben diverso. Soprattutto per ciò che concerne il bilanciamento dei poteri: perché al pari di quella sharia che fa da dottrina di ultima istanza nel fondamentalismo islamico, anche per la nuova Russia che Putin va disegnando ci sarà uno scarto autoreferenziale che oltre a sottrarre alla magistratura ciò che rimane della propria indipendenza (il presidente potrà rimuovere a piacere i vertici del potere giudiziario) rimodella lo Stato di diritto.
Verrà rimaneggiato il capo quindicesimo della Carta costituzionale, grazie al quale – sono parole di Putin – «la Costituzione della Federazione Russa dovrà avere la precedenza sul diritto internazionale», considerato quest’ultimo – e qui sono parole del potente e inscalfibile ministro degli Affari Esteri Sergej Lavrov – «una fonte di diritto secondaria». In sostanza le risoluzioni dell’Onu, del Consiglio d’Europa e i verdetti dei tribunali internazionali non avrebbero più valore sul territorio russo. Quanto al potere, quello vero passerebbe a quel Consiglio di Sicurezza finora organo consultivo del quale Putin resterebbe a capo conferendogli uno status costituzionale, e all’ancora nebuloso Consiglio di Stato, una sorta di copia un po’ sbiadita ma nella sostanza molto simile al Politburo di gloriosa memoria (per la nomenklatura, ovviamente).
Non tutti i dettagli e neppure i contorni di questa riforma sono per il momento noti. Ma attenzione a certi piccoli – ma decisivi – particolari: con le nuove norme, solo le persone che hanno soggiornato in Russia ininterrottamente per più di 25 anni e che non hanno mai posseduto un passaporto straniero o un permesso di soggiorno permanente potranno candidarsi alla presidenza: ricetta ritagliata su misura per oppositori pericolosi come Aleksej Navalny (già studente di Yale) o l’esule a Londra Mikhail Khodorovskij.
Né il fatto che sia un referendum a doverne convalidare l’attuazione può minimamente mettere in forse le intenzioni del presidente. Il quale, lo si capisce bene, non ha alcuna intenzione di lasciare il potere fra tre anni, semmai ha la ferma volontà di eternizzarlo, come sta tentando di fare in Turchia Erdogan, come ha fatto in Cina Xi Jinping, come provano a fare tutti i leader delle democrazie autoritarie, dal brasiliano Bolsonaro all’indiano Modi, solo che Putin cerca di farlo usando i guanti bianchi.
Quale formula troverà maggiormente conveniente per perpetuare la sua presenza ai vertici della Federazione Russa non è dato al momento sapere. Potrebbe astutamente mettersi da parte come fece Deng Xiaoping mantenendo un controllo d’acciaio sulle leve del potere cinese, oppure trasferirlo a un organismo esterno al Parlamento e ai singoli ministeri come ha fatto il kazako Nazarbaev. O ancora – ma qui Putin rischia di sfidare troppo a lungo la già declinante popolarità, che non a caso ha scaricato sul premier Medvedev, fulmineamente dimessosi appena dopo l’annuncio delle riforme – prolungando ad libitum con un colpo di mano (qualcuno già lo definisce 'golpe bianco') il numero di mandati presidenziali.
Ponendosi cioè da sé sul capo la corona imperiale, come fece Bonaparte, che da rivoluzionario a Primo console si trasformò in monarca. Tre piaghe affliggono la Russia di oggi: il drammatico crollo demografico, la crisi economica (i salari medi prossimi al livello di guardia, la contestata riforma delle pensioni) aggravata dalle sanzioni insieme con il calo del prezzo delle materie prime e la popolarità del governo e dello stesso Putin, al quale non bastano gli indubitabili successi in politica estera – in primis il ruolo di nuovo grande arbitro dello scacchiere mediorientale – per rimontare la china. I capri espiatori non gli mancavano: governatori, alti dirigenti, lo stesso Medvedev (rimpiazzato dal 'mago' del fisco Mishustin).
Ma per garantirsi gli occorreva l’ennesimo azzardo. Perché – come scriveva Machiavelli nel Principe – gli uomini sono «ingrati, volubili, simulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, si rivoltano. E quel Principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altri preparamenti, rovina». E sulla mutevolezza di amici e alleati l’ex dirigente del Kgb Vladimir Putin ha una vastissima esperienza e qualche nervo scoperto.