Opinioni

Tre nodi una speranza. Numeri e ombre di una Manovra

Leonardo Becchetti venerdì 19 ottobre 2018

Della Manovra economica del governo conosciamo i titoli e l’architettura complessiva dell’impianto. I dettagli (che saranno decisivi) sono rimandati necessariamente al rimodellamento successivo al confronto con la Commissione europea e al dibattito parlamentare. E il confronto è partito nel modo più aspro possibile sia dentro la maggioranza (il conflitto sul condono fiscale tra i vicepremier Di Maio e Salvini) sia con la Commissione europea che parla di «deviazione senza precedenti» dalle regole.
Sappiamo ad oggi che ci saranno 33,5 miliardi di spesa con tre capitoli principali (disinnesco dell’aumento dell’Iva per 12,4 miliardi, Reddito cittadinanza e modifiche riforma Fornero per 6,7 miliardi ciascuno). E che queste spese saranno coperte per quasi due terzi da maggior deficit (21,9 miliardi) e solo per la restante parte da entrate provenienti da molti rivoli (tra cui spending review e aumento delle imposte su banche e assicurazioni).

La Manovra è una scommessa che aumenta il rischio Paese come evidenziato dalla dinamica dello spread. La reazione dei mercati è stata in principio più calma, scontando previsioni in fondo ottimistiche su conflitto tra Roma e Bruxelles, probabilità di restare nell’euro ed effetti dell’altrettanto probabile downgrade delle agenzie di rating. L’impennata di ieri però indica che le turbolenze di fondo sono molte e che il rischio di finire contro gli scogli resta elevato.

Il Governo, per rendere questa Manovra compatibile con una riduzione e non un aumento del rapporto debito/Pil, scommette su un forte “effetto moltiplicativo” dei trasferimenti verso pensioni e Reddito di cittadinanza tale da generare un aumento del Pil dell’1,5% (mentre oggi le previsioni degli enti accreditati si attestano in media attorno all’1%).

Un limite fondamentale della Manovra è ritenere che questi ambiziosi effetti moltiplicativi si realizzino trasmettendo lo stimolo soprattutto attraverso pensioni e Reddito di cittadinanza e molto meno attraverso il sistema produttivo di imprese e banche. Queste ultime sono concepite come luoghi di grande profitto e speculazione a danno dei cittadini. E dunque sono vacche da mungere (con più tasse) e da punire in caso di crisi e fallimenti (perché gli stessi denotano senza ombra di dubbio un dolo). La realtà è un po’ diversa. Le banche hanno un ruolo delicatissimo nel sistema. Conservano i nostri risparmi e gestiscono il credito che consente alle imprese di sopravvivere. Sono oggi sottoposte a una pressione fortissima da parte dei regolatori, cercano di smaltire una montagna di crediti in sofferenza e non versano certo in condizioni smaglianti di salute.

Sulle pensioni il “regalo” del Governo agli italiani è un’«uscita» con cinque anni d’anticipo per chi matura le condizioni di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi). Uscire prima avrà comunque un costo in termini di pensione più bassa per via del sistema contributivo. Il conto da pagare è salato e crescerà col passare degli anni. Gli italiani non sono improvvisamente diventati ciechi. La verità, più banale e amara, è che in tanti si accodano a chi promette loro cinque anni di lavoro in meno (come corsero dietro a chi offriva “pensioni baby”) senza preoccuparsi delle conseguenze su conti e generazioni future.

La misura del Reddito di cittadinanza presenta numerose incognite. Usare una soglia si povertà uniforme in tutto il Paese trasferirebbe la grandissima parte delle risorse al solo Sud e non avrebbe senso, scontrandosi con i parametri Istat che la stabiliscono attorno agli 800 euro per un single in una grande città del nord e attorno ai 550 per un single in un paese del Mezzogiorno. In ottica di economia civile, dove il traguardo è la generatività personale, il Reddito di cittadinanza ha senso se il pungolo al reinserimento lavorativo è significativo.

Otto ore di lavoro sociale a settimana sono un contributo blando che si giustifica se l’impegno sul fronte della formazione è cospicuo e impegnativo. Come accade già oggi in alcune misure regionali (come il Reddito di dignità pugliese), un’attenzione a istruzione e salute a livello familiare dovrebbe essere la nota qualificante dell’intervento. La «pace fiscale» è l’ennesimo condono accompagnato dall’ennesima promessa poco credibile che sarà l’ultimo e d’ora in poi la severità verso gli evasori sarà massima. Viene persa da questo punto di vista una grande occasione per realizzare il programma del “pagare meno pagare tutti” che lega lotta severa all’evasione con trasferimento automatico dei suoi proventi in riduzione delle imposte.

Coniugando equità e riduzione della pressione fiscale. Detto tutto ciò siamo parte dell’equipaggio e dobbiamo tifare patriotticamente per la nostra Nazionale (il Governo in carica), sperando che la strategia scelta funzioni magari con le correzioni di rotta auspicate che rendano la Manovra più efficace e sostenibile. Anche perché non invidieremmo affatto chi domani potrebbe essere chiamato a rimettere insieme i cocci dell’Italia in caso di fallimento, con la sorte sventurata di dover fare un lavoro ingrato e di essere accusato di essere un «nemico del popolo»...