Opinioni

Analisi. Tra spesa inadeguata e medici in fuga tempesta perfetta sul Sistema sanitario

Walter Ricciardi venerdì 20 settembre 2024

All’orizzonte si profila una tempesta perfetta, ma anche se il cambiamento climatico sta aumentando i rischi che essa si verifichi pure in ambito meteorologico quella di cui parliamo oggi è legata alla progressiva scomparsa del Servizio sanitario nazionale come lo abbiamo conosciuto e apprezzato negli ultimi 46 anni. Le tempeste, prima di scatenarsi, sono annunciate da una serie di fenomeni che, adeguatamente considerati, consentono di evitare il naufragio. Ma quando i segnali vengono ignorati i fenomeni si sommano e l’effetto distruttivo diventa irrimediabile. In sanità le onde agitate dalla tempesta sono quelle della domanda e dell’offerta di servizi sanitari: cerchiamo di identificare quelle principali.

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a due fenomeni contrapposti. Da un lato il sorprendente aumento dell’aspettativa di vita della popolazione (circa un anno in più ogni 4 anni) e dall’altro l’aumento della prevalenza delle malattie croniche che si sono diffuse in modo incrementale, raffigurandosi per alcune patologie (ad esempio il diabete) come vere e proprie epidemie. La diretta conseguenza di tali fenomeni è avere una popolazione più longeva, ma al tempo stesso più malata e bisognosa di cure. L’Italia è con il Giappone il Paese “più vecchio” del mondo, in cui non solo gli anziani aumentano ma aumenta pure il loro peso sulla società, e questo in virtù del fatto che essi rappresentano una fetta sempre più grande della popolazione nazionale. Oggi in Italia metà della popolazione ha un’età superiore a 44,5 anni e, data la scarsa natalità, quando i numerosi quarantenni invecchieranno troveranno pochi giovani a sostenerli.

Dal punto di vista dell’offerta, ciò che più di ogni altra cosa preoccupa, in particolar modo negli ultimi dieci anni, sono l’inadeguato finanziamento della spesa sanitaria (l’Italia è ultimo tra i Paesi del G7 e al di sotto della media Ocse) e l’aumento delle inefficienze. Tutto ciò rischia di far saltare il Servizio sanitario nazionale, determinando difficoltà sia nel breve periodo – a causa di una riduzione dei servizi di salute offerti alla popolazione (specie a quella meno garantita e con minori disponibilità per curarsi ricorrendo al privato) – sia nel lungo periodo, a causa di un aumento della spesa sanitaria determinato dall’effetto boomerang della riduzione degli investimenti in politiche di prevenzione e diagnosi precoce. Questo perché i risparmi obbligati di oggi, ottenuti secondo le logiche dei tagli lineari con misure quali il blocco delle assunzioni, il contenimento della spesa per farmaci, medical device, beni e servizi e per le prestazioni erogate da produttori privati accreditati (tetti), non sono in grado di distinguere il livello di appropriatezza o efficacia delle aziende, lasciando complessivamente immutata – al più leggermente ridotta – la geografia dei servizi, senza una visione strategica e di sviluppo in grado di guidare una vera trasformazione del Servizio sanitario nazionale.

Recentemente a questi problemi “strategici” se ne sono aggiunti alcuni contingenti destinati, se non gestiti adeguatamente, ad accelerare lo scatenamento della tempesta. Eccoli. 1. La rimozione post pandemica, sia della popolazione sia delle autorità sanitarie: nonostante il rischio di pandemia persista, e in questo momento riguardi soprattutto l’influenza aviaria, l’attitudine generale è quella di ignorarlo. Le ultime campagne vaccinali sono state fallimentari, milioni di cittadini fragili per età e patologia non si sono vaccinati e risultano pertanto esposti a gravi rischi. La stagione invernale appena conclusa nell’emisfero australe ci preannuncia un periodo invernale critico che può portare fino a 20mila morti per influenza e Covid, ma la vigilanza e la consapevolezza delle autorità sanitarie nazionali appaiono esitanti sia nella promozione attiva della vaccinazione, sia nella capacità di informare l’opinione pubblica senza preconcetti ideologici. 2. Il tracollo del personale sanitario: dopo la momentanea esaltazione degli “eroi” della pandemia, gli operatori sanitari si trovano oggi, demotivati, malpagati e delusi, tra due fuochi: quello dei cittadini che hanno ormai perso qualsiasi riverenza, e anzi riservano ai sanitari un trattamento sempre più indegno e violento, soprattutto nelle strutture per l’emergenza, e i politici, che li abbandonano in trincea senza armi.

Anche se le recenti proposte legislative sull’inasprimento delle pene per chi aggredisce i sanitari e il rafforzamento delle forze dell’ordine nei Pronto Soccorso sono certamente interventi positivi, il problema si risolverà solo finanziando e gestendo adeguatamente le strutture sanitarie, dando agli operatori gli strumenti finanziari, tecnologici, organizzativi e logistici per erogare prestazioni di qualità che soddisfino i bisogni della popolazione. In mancanza di ciò continuerà l’esodo biblico dal Paese (negli ultimi vent’anni sono andati via 180mila tra medici e infermieri) e si consoliderà il fenomeno inquietante non solo della disaffezione nei confronti della professione, soprattutto di quella infermieristica, con i giovani che non si iscrivono ai corsi universitari e, addirittura, con centinaia di infermieri che dopo anni di formazione ed esperienza cambiano totalmente lavoro, disperdendo un enorme patrimonio professionale.

La qualità dell’assistenza è il risultato finale di un complesso intreccio di fattori, quali la capacità di gestione, la razionalità dell’uso delle risorse disponibili, la capacità di governo dell’innovazione e di indirizzo dei comportamenti professionali degli operatori e, non ultima, della gestione del rischio. È il risultato di specifiche scelte di politica sanitaria che intervengono sugli assetti organizzativi e sui meccanismi di trasferimento delle conoscenze scientifiche nella pratica e sulla capacità del sistema di documentare i risultati ottenuti. Naturalmente, la qualità dell’assistenza e la sicurezza dei pazienti passano anche dalla competenza del personale che, nell’epoca della sanità organizzata, non può fare a meno di apprendere, aggiornandosi continuamente, le migliori e più moderne soluzioni per gestire le complessità e l’aspettativa del cittadino/paziente.

Per questo, il sistema sanitario ha tutte le caratteristiche per essere considerato un sistema complesso: è aperto, è in relazione con il sistema sociale, politico, economico, è dinamico e adattativo, offre una vasta gamma di servizi e prestazioni ed esprime professionalità ad alta specializzazione. Proprio per questo, una grande responsabilità della politica è quella di valorizzare il capitale umano in sanità e programmare i livelli di accesso alla formazione e al mondo del lavoro. Se questo non avviene si perde l’equilibrio all’interno del sistema e si disperdono risorse umane e finanziarie non più recuperabili. Attualmente nel nostro Paese vi è l’assenza di una visione e di una governance nel settore della programmazione delle risorse umane in medicina che, negli ultimi 15 anni, ha visto arrivare l’intero sistema sull’orlo della non sostenibilità a causa della perdita di equilibrio tra accesso alla formazione pre lauream, accesso alla formazione post lauream di area sanitaria (scuole di specializzazione e formazione specifica di medicina generale) e accesso al mondo del lavoro.

Si parla spesso di problema culturale per definire la situazione di un’Italia da troppo tempo ferma a un livello ben al di sotto delle proprie possibilità; un’Italia frenata da molteplici criticità riconducibili a un unico substrato culturale che fa sì che si possa parlare di colpe largamente diffuse a ogni livello. La catena della responsabilità funziona qualora il substrato della società di riferimento sia forte; perché sia forte una società deve essere formata da individui consapevoli; al contrario, una società è debole quando gli individui che la compongono non si curano del Bene comune né sono capaci di autodeterminare in modo responsabile la propria salute ed il proprio futuro. È ciò che sta succedendo in Italia con il Servizio sanitario nazionale e il nostro Paese corre il rischio di naufragare in una tempesta sociale e sanitaria che si aggiunge a quella economica e metereologica.

Nel suo recente Rapporto sulla competitività dell’Unione Europea, Mario Draghi ha citato i sistemi sanitari europei come uno degli elementi di forza da cui partire per riconquistare centralità in un mondo che vede favoriti Stati Uniti e Cina, Paesi molto più avanti dal punto di vista dell’innovazione e delle tecnologie ma indeboliti dall’assenza di sistemi sanitari pubblici e in cui la sanità è una commodity e la tutela della salute non è un diritto acquisito. Non sappiamo se i governi dei Paesi membri dell’Unione Europea seguiranno le indicazioni del nostro ex presidente del Consiglio, ma è certo che ove mai l’Italia perdesse la sua più grande opera pubblica dopo la Seconda guerra mondiale – il Servizio sanitario nazionale, che ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo economico e sociale del Paese – si ritroverebbe avviata verso “l’agonia” citata da Draghi, travolta da una tempesta che dobbiamo assolutamente evitare.