Ecologia umana. Tra pandemia e conflitto ecco la spirale anti-democratica
La crisi ucraina e, prima di essa, la pandemia segnano un punto di non ritorno per l’Occidente. Viviamo un’epoca contrassegnata da tensioni tra visioni e paradigmi diversi, da transizioni che se aprono opportunità, generano anche conflitti, ponendo a rischio i princìpi su cui si reggono le nostre società.
La gestione dell’emergenza coronavirus e gli strumenti Ue di ripresa e resilienza avevano già innescato nuovi processi destinati a produrre cambiamenti nel sistema economico e produttivo, nelle nostre abitudini di lavoro e di investimento, nelle relazioni tra Ue e Stati membri, nel modo di governare, nella percezione dell’importanza delle politiche pubbliche a tutela della salute e dell’ambiente. Eppure, proprio l’impegno dei pubblici poteri nella gestione di questa crisi e lo scontro bellico, economico e culturale in atto tra una visione liberale dei processi democratici e una autocratica dovrebbero indurci a riflettere sugli strumenti da essi adottati. Tale riflessione assume una specifica idea di ecologia: quella umana integrale, essenziale al nutrimento dei princìpi suddetti, perché la salute della democrazia è una componente di tale ecologia, almeno quanto la salute della biosfera.
La complessità del mondo contemporaneo e i condizionamenti delle numerose varianti dell’ideologia che in questi ultimi anni si è imposta come contraltare ai sistemi liberal-democratici impongono una rinnovata consapevolezza sulla centralità dell’ecologia umana quale presupposto essenziale per un ordine economico e politico al servizio dello sviluppo umano integrale e della pace tra i popoli. Sappiamo che nelle situazioni di emergenza può trovare giustificazione l’esercizio di poteri straordinari e talvolta finanche extra ordinem.
Tuttavia, le modalità con le quali tali poteri vengono esercitati, specie sotto il profilo della loro reale giustificazione, della proporzionalità rispetto all’interesse generale perseguito e della loro temporaneità, non possono essere trascurati in quanto incidono significativamente sulle dinamiche politiche, economiche e culturali. I timori legati all’emergenza pandemica e, oggi, il clima di angoscia collettiva dovuta allo scoppio della guerra si inseriscono in un quadro istituzionale già segnato da una profonda crisi della rappresentanza e da una costante messa in discussione dei diritti fondamentali della persona umana. Tali criticità determinano importanti debolezze strutturali che, se non sanate, rischiano di minare non soltanto il tessuto economico ma anche quello sociale tout court. Il riferimento è ad ambiti come la famiglia, la scuola e la salvaguardia del nostro ambiente, intesi come dimensioni costitutive delle società moderne.
Di fronte al dramma causato dall’aggressione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo e alle sfide portate in questi ultimi anni dalla spavalda avanzata di autocrazie e di forze politiche sovraniste e populistiche, in Europa come negli Usa, sorge spontanea la domanda se le nostre claudicanti democrazie liberali saranno capaci di affrontare crisi globali come quelle in atto. Saranno capaci le istituzioni liberali e democratiche di fronteggiare lo stato di emergenza permanente senza scivolare nella destabilizzazione o cedere all’autoritarismo? L’emergenza sanitaria e l’angoscia bellica non fanno altro che accelerare o porre in evidenza processi di fondo già in atto da tempo, ponendoci di fronte al fatto che il potere è in grado di esercitare la sovranità, sospendendo parti dell’ordinamento. Se questo è stato possibile, chi può garantire che ciò non possa ripetersi in futuro? Su questo terreno, potere politico, interessi economici e dinamiche dell’opinione pubblica sembrano intrecciarsi, lasciando le democrazie prive di idonei strumenti per difendersi.
A questo si aggiunge il rischio dell’emersione di una vera e propria deriva disumanizzante nei processi democratici, rappresentata dall’eventualità che le tecnologie digitali (anche eterodirette in modo ostile), invece di porsi quali opportunità, possano diventare un grimaldello per scalfire le pareti di una democrazia già traballante. In un contesto così allarmante, l’opinione pubblica sembra sfilacciata e scoraggiata, sempre più disponibile – in molti suoi settori – a credere a facili ricette, a privilegiare il perseguimento di interessi immediati, a delegare al «capo» del momento, piuttosto che partecipare a processi cooperativi-competitivi, fondati sul comune rispetto di giuste regole, indispensabili alla vita di una democrazia inclusiva, capace di sostenere lo sviluppo umano integrale di tutti e di ciascuno. Ma da questa spirale non ci si può lasciar stritolare.