Opinioni

Todos!. Il messaggio della Gmg di Lisbona: condividere e scegliere

Adriano Fabris giovedì 17 agosto 2023

Giovani alla Gmg di Lisbona salutano papa Francesco

Cos’hanno detto alla Chiesa i giovani della Gmg di Lisbona? E cosa si attendono ora? Di quali domande sono portatori? Cosa può fare la Chiesa per tenere viva la speranza che si è accesa in loro? E cosa devono fare genitori ed educatori? Apriamo oggi uno spazio di riflessione a più voci, che proseguirà nei prossimi giorni sulle pagine di Catholica, ispirato a quel «Todos, todos, todos!» di papa Francesco che ai giovani a Lisbona ha detto che «nella Chiesa c’è spazio per tutti. Nessuno è inutile, nessuno è supefluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo. Tutti, tutti, tutti». I contributi saranno pubblicati anche su Avvenire.it/giovani. (F.O.)

Alla Giornata mondiale della gioventù di Lisbona i giovani erano davvero tanti, 65mila venivano dall’Italia. Non sono andati in vacanza. Sono stati mossi da alcune motivazioni che dobbiamo cercar di mettere a fuoco.

La prima è che hanno voluto fare un’esperienza. Non un’esperienza qualunque, ma un’esperienza di fede. In Occidente, certo, la fede cristiana è in crisi. Nei giovani di Lisbona la fede c’era, eccome. Non già una fede abitudinaria, espressa con linguaggi e riti che non si comprendono più, bensì la ricerca e l’espressione di modi più consoni alla realtà quotidiana di vivere le relazioni degli esseri umani fra loro, e fra gli esseri umani e il creato, alla luce della relazione con Dio. La scommessa della loro fede è di riuscire a inserire all’interno di tale relazione religiosa ciò che importa davvero della vita quotidiana.

La seconda motivazione è che i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno voluto fare un’esperienza a modo loro. Si è trattato di un’esperienza di relazione, di scoperta, d’incontro. Essa si è inserita naturalmente, nel contesto della Gmg, in parole, gesti, riti – come la confessione e la comunione – centrali nella tradizione cristiana. Tale tradizione è stata in molti casi trasformata in qualcosa di davvero personale.

La terza motivazione, connessa alle prime due, è legata al fatto che l’esperienza di Lisbona è stata il frutto di una scelta. I ragazzi e le ragazze hanno voluto andarci. Sono stati magari sollecitati dalle loro comunità di appartenenza o da qualche adulto di riferimento, ma alla fine sono stati loro a scegliere. Hanno così sperimentato che quando c’è una scelta – in particolare quando c’è una scelta che ha a che fare con la fede – tutto diventa più significativo.

La quarta motivazione, infine, si ricollega al fatto che i nostri ragazzi e le nostre ragazze vogliono fare le cose insieme. Hanno bisogno l’uno dell’altro, forse più che in passato. Le relazioni rafforzano. Le relazioni buone esaltano le esperienze buone. E dunque una fede vissuta comunitariamente permette di fare cose che da soli non si riesce a fare.

Qual è allora l’identikit della fede di questi ragazzi e ragazze? E quali sono i pericoli in cui essa può incorrere? È una fede che fornisce qualcosa di nuovo. È una fede da vivere insieme, che offre orientamento, accogliente, attrattiva se non viene percepita come qualcosa d’imposto. Tutto ciò comporta anche rischi, come accade sempre quando si abbandonano vie consolidate. Il principale sta nel considerare l’esperienza fatta come una semplice emozione, che colpisce e passa. Invece la fede richiede di essere costantemente alimentata e consolidata. Un altro rischio è di scivolare, per aprirsi alle relazioni con gli altri, in una falsa idea di tolleranza, per la quale va bene tutto. Ma i nostri ragazzi e le nostre ragazze non possono rinunciare a quello che sono, tanto più dopo averlo guadagnato con fatica. Un ultimo rischio sta nel modo in cui le relazioni sono vissute. L’esperienza di Lisbona è stata davvero un’esperienza in quanto è stata fatta in presenza, incontrando tante persone, condividendola e non già sostituendola (ecco il rischio), con le connessioni online.

I nostri ragazzi corrono in particolare questi rischi. Ma stanno trovando anche strade nuove. La loro esperienza di fede, ciò che esprimono e ciò che cercano, ci può dire molto. Non resta che stare ad ascoltarli.

Adriano Fabris è professore ordinario di Filosofia morale ed Etica della comunicazione - Università di Pisa