Caro direttore,sono uno di quei cattolici che ha partecipato a distanza al grande raduno di Todi, ovvero mettendomi dapprima in preghiera, poi in ascolto e infine in attesa di quello che veniva elaborato lassù, o laggiù, dipende da dove si scrive e si legge. Ma sono anche uno di quei cattolici che da anni segue il dibattito politico e sa che quello della cittadina umbra è stato un incontro arrivato dopo tanti libri, discorsi, proclami, discussioni sull’argomento e soprattutto dopo che tanti cattolici – anche nelle piccole amministrazioni – hanno continuato a sperimentare sulla propria pelle il quotidiano adoperarsi per il bene comune. Sono uno di quei cattolici «né rassegnato né indignato», come ha detto il cardinal Bagnasco, e lo sono nella mia quotidianità, coi miei difetti e con le mie imprecisioni. Ho letto tante parole, in questi giorni. Ma poi, andando a messa martedì, nella festività di San Luca, ho capito che cosa aveva continuato a succedere a Todi. Recitava così il Vangelo di Luca e forse, con tutto il rispetto, vale più di mille interventi: «Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: pace a questa casa"». Come sempre, l’esercizio tipico da "scuola della Parola" di tornare alle origini del nostro credere, cioè al Vangelo, è la risposta migliore alle nostre domande. È Gesù, che tramite il Papa e i nostri vescovi, anche oggi ci manda a due a due, chiedendoci di essere riconoscibili, di impegnarci nel sociale, in politica, nell’economia. Senza volere nulla per noi stessi, ma portando pace.
Giorgio Gibertini, Roma