Opinioni

Lettere. Terrorismo jihadista o erotismo nichilista? Essere cristiani liberi

Le nostre voci di Marina Corradi giovedì 8 giugno 2017

Caro Avvenire,
ho letto sul nostro giornale la chiusura dell’editoriale di Fulvio Scaglione di martedì 23 maggio sui fatti di Manchester: «Non va da nessuna parte un mondo che non riesce a correggersi e non sa proteggere i più piccoli». A queste parole penso alla piccola Saffie, 8 anni, che è stata portata dai suoi genitori a un concerto di Ariana Grande... Per farmi un’idea dello spettacolo a cui avevano assistito le giovani vittime, ho cercato in rete i video e i testi della cantante statunitense. Il messaggio che tutte le sue canzoni trasmettono è uno solo: sesso, solo sesso, senza amore, senza affetto, violento e volgare. Ariana Grande propone un modello di donna sempre pronta a concedere il suo corpo al macho di turno, forse solo per cercare di sentirsi viva. È vero: una società che non protegge i suoi piccoli non va da nessuna parte. Ma qual è il pericolo più grande? Il terrorismo jihadista, che ha mietuto in Europa qualche decina di vittime bambine e giovani? O l’erotismo nichilista, imposto capillarmente a milioni di bambini e ragazzi, che li rende incapaci di costruire relazioni stabili ed equilibrate? Vale la pena vivere inseguendo una Ariana Grande (o gli Eagles of Death Metal, o Fedez, o Vasco Rossi)? Forse è l’ora che noi adulti ci mettiamo al fianco dei piccoli e dei giovani, non per portarli ai concerti dei loro idoli, ma per insegnar loro a discernere ciò che profuma di vita da ciò che puzza di morte. E far conoscere loro, senza complessi, i veri eroi a cui ispirarsi: i santi che seguono Cristo senza compromessi. Ce ne sono, anche oggi, e anche giovani. Solo così li proteggeremo dal pericolo più letale: la morte del cuore. Lo dico da padre di due bimbi (ancora in età prescolare) e da formatore in ambito affettivo-sessuale di ragazzi delle scuole medie.

Pierluigi Beretta - Pavia

Gentile signor Beretta, devo confessarle che alcune canzoni di Vasco Rossi sono state nella colonna sonora dei miei vent’anni, e che anche i miei tre figli sono andati e tuttora vanno, talvolta, a dei concerti. Spesso non so esattamente di quale gruppo, ma non me ne preoccupo perché ho una grande stima e fiducia nelle loro capacità critiche - per ora, mi pare, ben riposta. È lo sguardo sul mondo quello che non condivido, signor Beretta, per quanto possa comprendere le sue preoccupazioni. Non condivido l’atteggiamento di preconcetta ostilità e di paura verso la realtà, vista come un’entità complessivamente nemica, da censurare, da cui difendersi. Certamente i testi e gli spettacoli di Ariana Grande e degli altri non sono catechismo. Come non lo sono la maggior parte dei film e delle fiction che passano in tv, per non parlare del web. Che facciamo, spegniamo tutto? Lei dice di avere dei figli piccoli. I miei, i nostri, sono all’Università. A casa sono cresciuti dentro lo spirito di questa frase di don Luigi Giussani: «Lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra». Giussani immaginava un cristiano «proteso a scoprire in ogni cosa il bene rimasto, il brandello o il riflesso della verità». E esemplificava questa tensione con l’episodio attribuito a Cristo da un Vangelo apocrifo. Gesù nei campi sfiora la carcassa marcita di un cane, e Pietro gli dice: «Maestro, scostati!», ma Gesù invece si ferma appena a un passo e esclama: «Che denti bianchi!». Lodando l’unica cosa sana in quel corpo disfatto. Del resto, un simile atteggiamento è ciò che insegnava San Paolo: «Vagliate ogni cosa, e trattenete il buono». L’avvenimento di Cristo, continuava Giussani, è la vera sorgente dell’atteggiamento critico, che «non significa trovare i limiti delle cose, ma sorprenderne il valore». Forse a questo punto il lettore dirà che in certi concerti non c’è nessun valore da sorprendere. Non so. Da giovane giornalista che si occupava di Spettacoli sono stata per anni mandata ai concerti: soffrendo per la calca, il rumore, per l’eccitazione a volte isterica. Eppure anche nelle note di un brano rock mi capitava di avvertire un accento di voglia di vita, di una inespressa nostalgia, che mi colpiva. Guardavo le quindicenni che cantavano in coro e mi commuoveva nei loro occhi l’ansia e la attesa di vita e di gioia. Gioia che cercavano dalla parte sbagliata, direbbe forse il signor Beretta, che vorrebbe che si leggessero solo le vite dei santi. Io invece no: credo che si debba insegnare ai figli a stare di fronte alla realtà com’è, difficile e talvolta povera e brutta com’è, sempre però facendo memoria di ciò per cui siamo veramente fatti, di ciò che ci rende veramente felici. In questo modo si sta in mezzo agli altri, si cerca, non si demonizza, si cresce. Magari si dice anche una parola utile a quello che ti sta accanto, e che forse pure cerca, ma non lo sa. Io sono contenta che i nostri figli siano cresciuti così. Ora che sono grandi sono persone libere, e cristiane.