L'intervento. Terra Santa, la sfida di imparare a riconoscersi
Padre Francesco Patton
Imparare a condividere una terra e una vita. Oltre al conflitto armato, sperando che possa finire il più in fretta possibile, è anche e soprattutto questo il problema della Terra Santa. Che nessun accordo a tavolino potrà mai risolvere. Lo dimostra il fallimento degli Accordi di Oslo, che non sono mai stati calati e condivisi nella vita ordinaria di israeliani e palestinesi. Sicuramente il 7 ottobre ha vanificato il lavoro di tanti anni, e ha creato da questo punto di vista delle ferite che sarà difficile rimarginare. C’è un odio e un desiderio di vendetta che dopo quel “sabato nero” ha intossicato il cuore e la mentalità delle persone, da una parte e dall’altra. Anche quelli che prima erano più disponibili al dialogo, al confronto, ora sono chiusi nel proprio dolore e nel proprio antagonismo.
Condivido molto le parole di Rachel Goldberg Polin sul fatto che occorra imparare a riconoscere il dolore dell’altro e farlo reciprocamente. Da questo riconoscimento del dolore altrui bisogna giungere al riconoscimento reciproco del diritto di esistere. Occorrerà sicuramente trovare una soluzione politica, sarà necessario un lungo lavoro di educazione all’accettazione dell’altro, ci sarà anche un cammino di riconciliazione, ma la strada verso la pace richiederà un impegno a livello locale e un accompagnamento su scala internazionale. Bisognerà cercare di capire le responsabilità politiche del 7 ottobre, ma solo la mutua comprensione della dignità della sofferenza degli uni e degli altri potrà aprire le porte a una effettiva accettazione reciproca e a una conseguente pacificazione.
Ma prima deve finire la guerra. E sembra paradossale: più dura e più sembra allontanarsene la conclusione. Non si intravede alcun orizzonte di pace, perché in entrambi gli schieramenti prevale una maggioranza che immagina la propria esclusiva giurisdizione “dal fiume al mare”. Ormai sembra che la prospettiva dei “due stati per due popoli” non sia più praticabile. Ma una soluzione politica è necessaria, l’unica alternativa a una guerra infinita interrotta da periodiche tregue che hanno più il sapore della pausa che quello della pace. Sono anche convinto che qualsiasi soluzione istituzionale di pace – che si tratti di “due stati”, “uno Stato per due popoli” o ancora una confederazione – potrà darsi anche (ma non solo) attraverso un ricambio di leadership, attraverso nuovi soggetti che esercitino creatività nell’immaginare una cornice di pace. E soprattutto che siano capaci di farla “metabolizzare” ai rispettivi popoli. E torniamo alla necessità di un cambio culturale “dal basso”, e quindi tempi lunghi. Di fatto, la ragione principale del fallimento degli Accordi di Oslo è stata la mancata ricezione da parte dei cittadini che non si sono sentiti e/o non si sono lasciati coinvolgere.
Per questo il fronte principale in cui continuiamo a operare come frati della Custodia è quello delle scuole e dell’educazione, che è soprattutto educazione alla conoscenza, al rispetto e all’accettazione dell’altro, cioè educazione alla pace. L’allargamento del conflitto ha comportato anche un più diretto coinvolgimento dei nostri frati che custodiscono i santuari e i conventi dell’alta Galilea e del Libano. Vedono ogni giorno volare sulle proprie teste i missili che vengono lanciati da Hezbollah e gli effetti dei bombardamenti dell’esercto israeliano. I frati di Tiro, guidati da fra Toufic, hanno dovuto trasformare il nostro convento in un campo profughi per accogliere i civili rimasti senza casa, e quando poi la guerra si è fatta anche più vicina e i profughi se ne sono andati verso nord, hanno dovuto chiudere il convento e spostarsi a Beirut, dove continuano a sostenere gli sfollati. Noi ci siamo trovati, come sempre, inermi e pacifici sui due fronti, con il pensiero degli uni sempre rivolto agli altri. Visitando i nostri frati della Galilea ho potuto apprezzare che pregavano per i loro confratelli oltre il confine, «perché loro sono ancora più in pericolo di noi, che almeno abbiamo il sistema di intercettazione israeliano a proteggerci parzialmente». Ugualmente i frati del Libano pregavano per quelli della Galilea, comunque esposti al pericolo: trovarsi sui due fronti è un’amplificazione della sofferenza della guerra. Certo, ci rimane dentro un senso amaro di impotenza.
Custode di Terra Santa
Il testo è tratto da “Come un pellegrinaggio”, libro intervista con Roberto Cetera (corrispondente dell’Osservatore Romano da Gerusalemme) che esce oggi per Edizioni Terra Santa, con la prefazione di papa Francesco e l’introduzione di Massimo Fusarelli, ministro generale dei Frati minori.