La riflessione. Non solo festa o weekend lungo. Teniamoci stretto il senso della Pasqua
Teniamoci stretta la Pasqua. Dopo il ripasso dei misteri che fondano la fede, fra Triduo e Domenica di Risurrezione, inoltrati ormai nella settimana che porta alla festa della Divina Misericordia, vale la pena dircelo ogni giorno: il tesoro che abbiamo appena contemplato va custodito, gelosamente, per evitarne il deprezzamento sul mercato laicissimo di feste, ponti e week-end. E per riuscirci faremmo bene a condividerlo, renderlo trasparente con la vita e soppesarne il valore, senza la fretta di archiviarlo. Perché l’impressione è che la Pasqua, pur con tutta la sua imponenza teologica e spirituale, rischi di farsi sempre più fragile dentro la scena della società aperta in frenetico cambiamento, ansiosa di novità e scorciatoie, di messaggi semplificati e percorsi di vita allettanti. Il messaggio pasquale – complesso e controcorrente com’è – è sempre più esposto all’incedere pressante di una cultura di massa che secolarizza a passo spedito ma soprattutto finisce per rimuovere come oggetti estranei, e in fondo superflui, tutti gli eventi collettivi che “non servono” a qualcosa di preciso, anche solo a intrattenere. Forse semplicemente non li capisce più – non più come un tempo – e quando non ha categorie e parole per comprenderli finisce per accantonarli come ornamenti del passato, belli, certo, ma ormai indecifrabili, e in fondo inservibili. Quando poi questa mentalità funzionalista intercetta l’impetuosa corrente di desacralizzazione dello spazio pubblico, delle nostre grandi feste cristiane rischia di restare memoria giusto nella comunità dei credenti, e neanche in tutti. Contenitori senza un contenuto condiviso, capace di dare senso a giorni, gesti, relazioni, esistenze. Quanto più un fatto ha un elevato contenuto religioso tanto più fatica oggi a essere decodificato da una società che continua a riconoscerlo quando arriva ma non sa più riconoscersi sotto il suo messaggio, di per sé universale. Un fenomeno evidente nelle giovani generazioni, che – giustamente – chiedono gli sia rispiegato daccapo tutto il patrimonio che davamo per acquisito, volendo capire “cosa dice alla mia vita, oggi”.
Vale anche per noi, vale per tutti. E quando il messaggio è articolato e portante come quello della Pasqua la questione si fa assai delicata per la trasmissione di un intero patrimonio di credenze personalissime, di categorie culturali, di sensibilità collettiva. Non che in giro si vedano ancora segnali di abbandono del valore splendente del messaggio e delle feste pasquali, ma i fatti stanno a dirci che nulla di quel che viviamo in questi giorni va più considerato acquisito per sempre. Non oggi. Riconosciamolo: per molti nostri contemporanei – e forse pure per una parte inconfessata di noi – la Pasqua non sembra più così imprescindibile, non come il Natale, per capirci. Forse anche solo per motivi pratici. Dell’arrivo delle feste di fine anno tutti hanno contezza con un paio di mesi di anticipo, e senza essere frequentatori abituali delle parrocchie. Il Natale comincia a imporsi quando l’estate è ancora un ricordo recente, tra primi spot per gli acquisti e luci su vetrine, balconi e strade commerciali. Impossibile sottrarsi a questo “spirito natalizio” fittizio ma invadente, a prova di smemorato. Le stesse ampie vacanze scolastiche, e l’intero blocco di due settimane di “sospensione” di quasi ogni attività già annunciato con mesi di anticipo, stanno lì a dirci che con il Natale devono farci i conti tutti: come un passaggio obbligato, persino a prescindere dal suo contenuto religioso, pure assai intuitivo ed emotivamente invincibile. E chi la fede la conserva ancora, poca o tanta che sia, sente il dovere di far capire in giro che la nascita del Salvatore non è solo questione di acquisti, cene aziendali e meeting rinviati.
Ma la Pasqua? Attenzione a non lasciarla catalogare come un fatto tutto privato, al più di gruppo religioso. Quel che abbiamo visto nei giorni scorsi – e che la Chiesa ci dice di assaporare per tutta una settimana, come un lungo mattino luminoso – è lì a dirci con la sua forza simbolica ed esistenziale che la Croce e la Risurrezione ci sono indispensabili per capire chi siamo, credenti o meno, e dentro quale contesto possiamo ancora capire l’esperienza così spesso enigmatica e sconcertante della nostra vita. «La Risurrezione di Gesù – sono parole del Papa al Regina Caeli del Lunedì dell’Angelo – non è solo una notizia stupenda o il lieto fine di una storia, ma qualcosa che cambia la nostra vita completamente, e la cambia per sempre! È la vittoria della vita sulla morte, questa è la risurrezione di Gesù. È la vittoria della speranza sullo sconforto. Gesù ha squarciato il buio del sepolcro e vive per sempre: la sua presenza può riempire di luce qualsiasi cosa. Con Lui ogni giorno diventa la tappa di un cammino eterno, ogni “oggi” può sperare in un “domani”, ogni fine in un nuovo inizio, ogni istante è proiettato oltre i limiti del tempo, verso l’eternità». Ce n’è abbastanza per fondare un’intera civiltà, oggi e domani. O c’è la luce del Risorto, in fondo alla tribolata notte di tanta nostra quotidianità, o siamo destinati a lasciar scorrere la vita senza afferrarne il segreto: un rompicapo straordinario di buio e di speranza, lacrime e gioia, limite e stupore, miseria e abbondanza, croce e salvezza. Inseparabili, come le parti del miracoloso tutto che siamo.