Ucraina. È tempo di una politica alternativa per costruire pace e disarmo nucleare
Caro direttore, per noi qui un anno è ormai passato. Per le creature là, un anno si è frantumato in morte, violenza, devastazione. Lei, direttore, nell’editoriale di venerdì 24 febbraio, scriveva che è stato «un anno intero di tradimenti, di guerra e di propaganda di guerra». L’aggressore evoca i suoi dèi per coprire una guerra cattiva e terribile. Kirill benedice una bestemmia. Sto con l’Ucraina. L’Onu ha contato 8.006 civili strappati alla vita, la risoluzione di condanna è passata.
Eppure, resta la sensazione di una solitudine dell’infaticabile voce di papa Francesco. Questo nostro Paese ha riconquistato una dignità perché donne e uomini sono stati dalla parte giusta e hanno amato la libertà più della loro stessa esistenza. E in quella Resistenza viveva l’idea che dignità e vita sono tutt’uno con la costruzione di un sogno di pace. Sta avvenendo qualcosa di enorme: l’impotenza della modernità e del progresso a reagire a guerre senza altre guerre. Ad armi senza altre armi. A un capitalismo disumano senza una sufficiente spinta al bene comune. Sta accadendo un’assuefazione a questa guerra come agli altri conflitti, decine e decine e decine, che insanguinano il pianeta. Succede che l’Europa sia solo in difesa e non impieghi abbastanza intelligenza, diplomazia, pensiero per costruire le condizioni di un cessate il fuoco e la tessitura di una pace giusta. Cambia la misurazione dei rapporti di forza tra i potenti. Non vi è dubbio che nel massacro stiamo con la democrazia. Una democrazia fragile, ma così forte da dare speranza alle ragazze in Iran, ai dissidenti nelle carceri della Russia, a chi attraversa il Mediterraneo persino arrivando dall’Afghanistan salvo poi togliergliela se non sai vedere accogliere e integrare persone che in Europa pensavo di trovare un destino migliore. La domanda ti assale e ti chiedi se fai quanto dovresti. Vedi quel volontariato che è in Ucraina a curare bambini con ustioni, a dare viveri e coperte. Vedi chi lo fa nel Tigrai, in Siria e in altre disperazioni. È una domanda forte per me e per la mia parte. Il fatto è che a un partito, alla sinistra, tanto più quando ha scelto un nome bello come “democratico”, spetta fare vivere la sua irrequietezza, una sua ribellione all’immodificabilità degli eventi.
C’è il dovere di mobilitare, di organizzare un altro “esercito”, un esercito mondiale e democratico per la costruzione della pace e per il disarmo nucleare. Nelle svolte della storia – e questa volta siamo in uno spartiacque della geopolitica – grandi movimenti, immaginazioni, visionari, un pensiero hanno saputo premere su interessi, isolare dittature senza rinunciare a stare dalla parte della libertà. Con questa destra al governo l’Italia, oggi fuori dal terzetto dei “grandi fondatori” con Germania e Francia, vorrebbe unire i conservatori ai popolari più retrivi e rafforzare un asse, nei fatti, con un’ultradestra che si è radicata anche Oltreoceano. E non è un mistero che, contemporaneamente, sul piano religioso, ci sono fondamentalisti delle nostre parti che cercano qualche rivincita contro la Chiesa del dialogo conciliare. La società è segnata, indignata e ribollente. E non basterà intervenire in Parlamento. È il tempo di una cultura alternativa allo stato delle cose, che ricostruisca “dal basso”, da comitati di base, dalle donne e dagli uomini di buona volontà, un altro mondo possibile. E poi come si sa, la rivoluzione la fanno i giovani però tutti noi aiutiamoli a farlo. E a non rassegnarsi, mai.
Già parlamentare e ministra della Repubblica