Il direttore risponde. Tempo di sbloccare tutte le riforme
Caro direttore,
si torna a parlare di presidenzialismo, e come sempre la politica italiana si divide tra favorevoli e contrari. Il fronte del "no" trova la sua linfa nel rischio che sia Silvio Berlusconi il primo a godere degli "effetti" di una Repubblica presidenziale. Taluni pongono in evidenza che l’Italia è un Paese con tradizioni storiche autoritarie (vedi fascismo), di conseguenza il presidenzialismo, cioè l’accentramento di poteri verso un solo individuo, potrebbe condurre verso una deriva autarchica. Personalmente, sono favorevole a una riforma in chiave presidenzialista e a una conseguente revisione costituzionale. La Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, era appropriata all’epoca, tuttavia nel 2013 appare come una zavorra che impedisce ai governi in carica di prendere decisioni politiche repentine, a causa del lunghissimo iter parlamentare, che spesso rende impossibile l’approvazione di alcune leggi necessarie ma indigeste a taluni schieramenti politici. Ritengo che le paure nei confronti del "cambiamento" siano infondate, e che sia necessario procedere con la riforma presidenzialista. I tempi del fascismo sono lontani: credo si tratti di un semplice spauracchio agitato ad arte da forze politiche che pensano di perdere potere decisionale, dopo un’eventuale riforma presidenziale.
Fabrizio Vinci, MessinaGentile direttore,
che la Costituzione italiana, pensata in un periodo storico particolare per le vicissitudini politiche del Paese, necessiti di essere aggiornata a una situazione politica totalmente diversa può essere. Se in un periodo critico come questo, dopo l’Imu, ci mettiamo anche il semipresidenzialismo "alla francese", vuol dire che il problema "lavoro" nella scala delle priorità è davvero un optional... Penso che Silvio Berlusconi voglia realizzare fino in fondo il suo grande sogno, non solo demolire politicamente il Pd (cioè "i comunisti"), ma essere – con molte probabilità – il primo presidente della Repubblica eletto dal popolo. La politica è come il calcio, si deve saper "giocare la partita", per vincere, approfittando delle debolezze "difensive" dell’avversario. Ma non si può sottovalutare che nelle democrazie presidenziali i concorrenti "scendono in campo" alla pari e non con il vantaggio di avere "reti" televisive, che possono fare la differenza sul risultato finale della partita...
Marino Savoia, Cesena
Le riforme politiche e istituzionali maturano, si realizzano e si consolidano non perché "convengono" a qualcuno, ma perché "convengono" al sistema Paese a cui sono destinate. Altrimenti, cari amici lettori, falliscono miseramente o, in ogni caso, producono esiti assai diversi da quelli auspicati o temuti (e a tale proposito anche la storia italiana recente ha qualcosa da insegnare...). Quando poi le riforme che sono ormai mature e magari, in una qualche misura, vengono "anticipate" dal costume politico-elettorale e da non sempre coerenti "evoluzioni" sul piano politico-istituzionale stentano a definirsi e a realizzarsi perché qualcuno è assolutamente convinto che convengano a qualcun altro, ciò che è maturo finisce per marcire. E il marcio guasta ancor più il sistema, che già era da riformare. Siamo a questo, nella nostra Italia. E non per caso, ma perché – per motivi che non sto qui a rivangare – il "fattore B" (come Berlusconi, il leader che è stato al centro della stagione del bipolarismo furioso) si è rivelato sinora un fattore di blocco, un autentico macigno sul percorso riformatore, un ostacolo insormontabile sulla naturale via d’uscita dalla infinita transizione tra Prima e Seconda Repubblica. La pur civilissima polemica del signor Savoia mi conferma che quelle paralizzanti tossine sono ancora largamente in circolo.
Questa mia risposta, cari amici, potrà anche sembrare un po’ troppo netta e forse anche dura, ma – come voi – ho sotto gli occhi i risultati della disastrosa inerzia nella quale per troppo tempo ci siamo crogiolati. Ora che s’è aperta – più per forza che per amore – quella stagione "di larghe intese" che anch’io negli anni scorsi avevo più volte auspicato, c’è la possibilità di uscire con decisione e saggezza dallo stallo. E non si può proprio gettarla alla ortiche: quando non ci si risolve a fare, al momento giusto, i passi in avanti necessari e possibili si perde sempre più equilibrio e si scivola nel caos, storico padre di tutte le rivoluzioni delle quali si poteva fare a meno. Chi l’ha detto, poi, che per ridare equilibrio alle istituzioni bisogna dimenticarsi del problema del lavoro? O di quello della giustizia fiscale? Se fosse così, sarebbe una follia. Anzi, penso che non sarebbe affatto male se in Italia cominciassimo a fare finalmente le cose giuste in felice contemporaneità, o almeno una dopo l’altra...
E torno al punto. Il "presidenzialismo" (a metà, tutto intero, a un quarto, propriamente detto o temperato...) è un sistema democratico di governo, che dà particolare forza all’esecutivo. Può non piacere, ma non è una dittatura annunciata. In Italia, per di più, lo stiamo già sperimentando in diverse forme e a diversi livelli di governo. L’esperienza conferma che un potere di direzione politica così forte va sapientemente bilanciato, con figure e organi di garanzia efficaci e ben individuati, limpida separazione dei tre tradizionali poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e un bilanciamento accurato tra governo e assemblee legislative (perché rendere conto al Parlamento non è mai un "optional" neanche in una repubblica a governo forte e presidenziale). Questo è, a mio parere, il punto. Ed è l’opinione di un cittadino che preferisce i sistemi fondati sulla centralità del Parlamento eppure sa molto bene che nelle vicende politiche di una comunità nazionale ci possono essere fasi diverse e differenti risposte. L’importante è che si tratti comunque di risposte saldamente democratiche, cioè segnate da una volontà popolare liberamente espressa e non solo formalmente rispettosa delle minoranze. L’essenziale è che quella risposta riformatrice sia basata su un impianto valoriale solido e condiviso. E qui, lo ripeterò sempre, l’impianto valoriale garantito dalla prima parte della Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948 per me è e resta tra i più saggi e luminosi del mondo.