Sebastian, Patrizia, Fernando, Raul. Quattro bambini rom invisibili perché nascosti come oggetto di vergogna, sfida al decoro dei quartieri della capitale. Continuamente spostati da una parte all’altra della città perché a "qualcuno" davano fastidio. Oggi non sono più tra noi: i loro anni sono stati rubati da una morte assurda, nel XXI secolo. Questa morte ci rende pensosi. Le immagini sconvolgenti del rogo di Roma, una mamma che grida il suo dolore, due poveri fiori gettati sul fango, esprimono lo sgomento della nostra coscienza collettiva di fronte a un piccolo popolo di senza terra, di indifesi, di ostinatamente stigmatizzati e messi ai margini. Quelle immagini ci segnalano la brutalità di un’altra tragedia evitabile, che ha coinvolto quattro piccoli innocenti; e intimano alle nostre intelligenze e volontà di fermarci, perché davvero questa volta sia l’ultima. Perché ciò accada, occorre innanzitutto una grande operazione-verità: perché i rom ci fanno paura? da dove nasce quel rifiuto, spesso razzista, che prende il nome di
antigitanismo? È necessario conoscere un po’ di storia. Non molti sanno, ad esempio, che nella Germania nazista i rom furono formalmente dichiarati "mezzi-ebrei" e che anche a loro, come agli ebrei, furono applicate le leggi razziali promulgate nel 1935 a Norimberga. Negli anni cupi del regime hitleriano ebrei e zingari furono uniti nella persecuzione, che divenne durante la seconda guerra mondiale eliminazione fisica, fino al genocidio:
Shoah per gli ebrei,
Porrajmos (Divoramento) per rom, sinti, caminanti e tutti gli altri gruppi di zingari presenti in Europa. Sebbene gli ebrei e i rom siano stati accomunati in una stessa tragica sorte durante il periodo nazista, nel dopoguerra e nei decenni successivi non c’è stata in Europa, nei confronti dei secondi, una riflessione collettiva simile a quella che si è avuta per gli ebrei. Il genocidio nazista degli zingari resta piuttosto sconosciuto mentre i rom continuano a essere oggetto di attacchi, con espressioni che sovente sfociano nel razzismo. "Educare dopo Auschwitz" dovrebbe avere anche il senso di ricordare il genocidio provocato dall’odio antigitano e l’enorme sofferenza di un intero popolo. L’intera costruzione sociale e culturale europea continua a inciampare sul modesto ostacolo dell’alterità rom. È certamente vero che tra i rom c’è chi ruba e chi delinque in vario modo. E ovviamente il crimine va perseguito. Stando alle cronache dei giornali, la loro pericolosità sociale è per lo più limitata alle espressioni di piccola delinquenza. Ma più di frequente – ed è il caso di cui parliamo – essi rientrano nelle cronache per drammi umani, come la morte per freddo, per fuoco o per incidenti dei loro piccoli. Gli episodi a questo riguardo sono tanti e tragici e dovrebbero destare più domande e maggiore compassione tra i cittadini. Esiste poi la questione della criminalizzazione: farlo su un intero popolo è razzismo. La responsabilità è sempre individuale. C’è un problema culturale: sappiamo molto poco chi sono i rom e i sinti, anche se essi vivono nelle nostre città e nei nostri paesi ormai da secoli. E poi c’è un problema politico: affrontare con una prospettiva umana, seria e non preda del pregiudizio imperante la questione rom. Ricordo le cifre in Italia: tra 140.000 e 170.000 persone, di cui la metà cittadini italiani di antico insediamento e circa il 50% di minori: tra lo 0,23 e lo 0,28% sull’intera popolazione italiana. In Spagna l’1,4%, in Romania il 10%. Se sono percepiti come motivo di insicurezza dai cittadini, questo va preso sul serio, anche se non corrisponde a un’insicurezza reale. La questione dell’illegalità va affrontata seriamente, non ideologicamente: abitazioni dignitose, inserimento nel mondo del lavoro e una efficace politica di inserimento scolastico per i minori sono soluzioni possibili sulle quali impostare politiche di respiro. E soprattutto va combattuta l’intolleranza: quella che si respira sui mezzi pubblici in molte città italiane, la volgarità di tante affermazioni che trovano spazio nel dibattito pubblico, in tv, nelle radio o sui giornali. Per questo è necessario ripensare l’atteggiamento verso i rom, assumersi la responsabilità storica e morale di secoli di persecuzione nei loro confronti, favorire la convivenza, e soprattutto prendersi cura di un popolo di bambini e adolescenti che oggi non hanno alcuna voglia di essere "nomadi" per condizione, ma che chiedono – come i nostri figli – il calore di una casa e la possibilità di studiare e avere un futuro.