Crisi, tensioni, via d'uscita. Tempo di fare e di spiegare
La strada per l’uscita dalla crisi è lunga e difficile, e con il dibattito sviluppato negli ultimi mesi su questo giornale abbiamo cercato di contribuire alla costruzione di un percorso inevitabilmente complesso. E almeno su tre livelli. Il primo è il piano internazionale dove sono necessarie due cose. Innanzi tutto, la riforma delle regole della finanza per evitare nuove catastrofi come quella che ci ha portato alla situazione in cui siamo. In secondo luogo, azioni dei cittadini (il voto col portafoglio per aziende 'responsabili' e 'sostenibili') accompagnate da opportune politiche incentivanti che producano una convergenza verso l’alto e non verso il basso di salari e tenore di vita.
La vera causa di tutti i problemi che stiamo vivendo sono infatti i divari di costo della vita e del lavoro che la globalizzazione non ha causato, ma ha piuttosto fatto emergere. La sfida che la globalizzazione ci pone più che mai è quella dell’interdipendenza: le vere soluzioni non possono essere conflittuali, ma solo cooperative tra aree del mondo, stati e classi sociali all’interno dello stesso paese. Il secondo piano di azione è quello europeo.
Bisogna spingere per la costruzione di un’architettura finanziaria (le regole antispread per contrastare la speculazione) e macroeconomica (politiche di rilancio degli investimenti e delle infrastrutture) che rovesci il paradigma cieco dell’austerità e metta al centro il problema della disoccupazione e del rilancio della domanda coniugando lo stesso con l’equilibrio dei conti pubblici europei. Il terzo piano è quello nazionale. Se infatti sui primi due piani (mondiale ed europeo) le cose non andassero come dovrebbero, dovremo essere comunque in grado di cavarcela da soli.
Da questo punto di vista, ci sono da aggredire i famosi «50 spread dell’economia reale» che ci allontanano dal modello tedesco su diversi fronti (istruzione, digital divide , corruzione, ritardi della burocrazia, inefficienza della giustizia civile, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione...). Il governo in carica sta lavorando in questa direzione, ma bisogna essere consaspevoli che su una via così importante i progressi saranno lenti e non potranno produrre risultati immediati perché la 'trappola del declino' è scattata, dipende da troppi fattori e un processo di tale portata non si può invertire di colpo.
Dobbiamo, infine, liberarci del macigno del debito pubblico e la strada più praticabile (economicamente e socialmente) è, come abbiamo scritto più volte, quella di un nuovo Patto Fiscale con gli italiani che realizzi nel concreto il principio del 'pagare meno, pagare tutti'. Attraverso alcune regole fondamentali (la riduzione della soglia del contante, magari accompagnata dallo spostamento dell’Iva su una tassa sui prelievi al bancomat) è possibile dare scacco matto all’evasione, vincolandosi a trasferire immediatamente i proventi in termini di riduzione del peso fiscale. In questo modo appare possibile realizzare equità ed evitare di essere percepiti come vessatori legando invece la lotta all’evasione all’obiettivo della riduzione delle tasse. Un 'premio' reale che produrrebbe effetti benefici sui mercati finanziari e ridarebbe fiato a cittadini e imprese rilanciando l’economia reale.
Le prossime elezioni devono restituirci una classe dirigente preparata, matura e con seria capacità di ascolto e di comunicazione in grado di realizzare un programma convincente e di spiegare a un Paese prostrato da anni di crisi perché lo fa, ancorando le scelte e visioni a precisi e saldi valori di riferimento. A noi elettori, probabilmente prima del previsto, toccherà il non facile compito di individuarla.