Il direttore risponde. Tasse e cittadinanza: non «evadere» è dovere morale
Gian Franco M, Padova
E perché mai non dovrebbe esserci risposta, gentile lettore? Posso dirle che condivido quasi completamente la sua riflessione e la sua indignazione. Aggiungo quel «quasi» perché non definirei «in parte giustificata» l’evasione dei «piccoli». Comprensibile, semmai. O persino fisiologica. E certo figlia di un sistema fiscale impietoso e a volte davvero oppressivo con chi vive – e produce reddito – alla luce del sole. Tuttavia non me la sento di definire «giustificata», seppure parzialmente, una presunta evasione fiscale «minore». Proprio per i motivi che lei richiama in chiusura della sua lettera, citando don Sturzo e pensando a figli e nipoti e al compito essenziale di educarli a un autentico e pieno senso della legalità. È chiaro che i grandi evasori (ed elusori) dei doveri fiscali sono i più colpevoli e, dunque, i più meritevoli di sanzioni forti e – come lei suggerisce – emblematiche, ma i doveri di cittadinanza sono chiari per tutti. E, infatti, secondo l’articolo 53 della Costituzione, «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Ogni fuga, grande o piccola che sia, da questa responsabilità comune accresce il peso sulle spalle (e sulle braccia) di chi, invece, a essa non si sottrae e dà il suo contributo alla cassa (e alla casa) comune. Non dobbiamo dimenticarlo mai, da cittadini e da cristiani. Una società giusta, o anche solo un fisco equo, si costruiscono solo con un impegno condiviso: quello di chi fa bene le leggi e di chi le leggi sa rispettarle. Non è utopia, caro Gian Franco, è l’affermazione del primato della regola sull’arbitrio, di un ben temperato ideale comunitario sull’egoismo individuale. E, poi, ognuno di noi in coscienza sa che «non evadere» è semplicemente un dovere morale.