Un sentimento di frustrazione pervade le genti lombarde. L’area più operosa e dinamica del Paese, quella che in una felice immagine coniata da Piero Bassetti ( nei lontani anni Settanta, da primo governatore della Lombardia), costituiva « la locomotiva capace di trascinare il treno Italia verso l’Europa » , è col morale sotto i tacchi. Delusione diffusa e motivata, in quanto milanesi e lombardi si sentono « traditi » . Doppiamente: per il declassamento di quello che fu l’aeroporto intercontinentale della Malpensa ( a vantaggio di Roma- Fiumicino, scelto quale unico hub nazionale dalla Nuova Alitalia); per il modo, niente affatto esemplare, che caratterizza la messa in cantiere delle opere e degli strumenti destinati a gestire e ospitare l’Esposizione universale del 2015. Il mitizzato Expo, che dovrebbe testimoniare nel mondo il ruolo d’avanguardia, sulla via del progresso, di una regione da sempre leader. D’un colpo, nel sentire dell’opinione pubblica, un disincanto con risvolti di rabbia, va generando interrogativi che, non trovando risposte adeguate, ingigantiscono. Prima questione l’Expo. Appena un anno fa, la vittoria conseguita nella competizione con la turca Smirne, venne salutata come un trionfo. Riportando alla memoria il successo dell’Esposizione del 1906 che valse a Milano il titolo di capitale economica. In pochi mesi, il patrimonio d’orgogliosa efficienza, del « culto del fare » , è stato in non poca misura dissipato. Mentre i progetti ( continuamente rivisti al ribasso) restavano sulla carta, si è assistito a un susseguirsi di assalti alla dirigenza per le poltrone sulla plancia di regia. Liti sui compensi, scarsa concordia fra gli enti pubblici, disaffezioni in ambito imprenditoriale, complice la recessione. Rivalità partitocratiche accompagnate dall’assenza di un costruttivo dialogo con i ministeri romani. Ora, nel momento in cui una parte dei fondi statali destinati all’Expo sono sul punto di essere dirottati verso altri lidi, la gente si chiede perché interessi e ambizioni particolaristiche, abbiano prevalso sul bene comune: un Expo capace di mobilitare le energie con ricadute sull’intero Paese. Malpensa. Anche di fronte a questa sconfitta, i ceti dirigenti lombardi hanno l’obbligo di guardarsi allo specchio. In molti parteciparono alla nascita della Nuova Alitalia, ma a giudicare dai risultati, con ben scarsa attenzione al territorio. Forse per compiacere i protagonisti dell’attuale stagione politica, forse nella prospettiva di un investimento alla lunga lucroso. Mai, comunque, un pugno vigorosamente battuto sul tavolo. Perché? Da decenni, le classi dirigenti « nordiste » hanno agito con mentalità da campanile. Gli aeroporti, pur in passivo, sono spuntati come funghi. Con il risultato di tagliare l’erba sotto i piedi della Malpensa. Altre miopie, hanno impedito di realizzare infrastrutture essenziali. Ad essere espliciti: esistesse, come nei Paesi più avanzati, un sistema stradale- ferroviario veloce ed efficiente, Malpensa sarebbe raggiungibile da ogni angolo della Padania in poco più di un’ora. Pertanto, ogni lombardo con la testa sulle spalle, si chiede: le umiliazioni che stiamo patendo in quale misura vanno spartite fra la determinazione egemonica del centralismo romano e la nostra ( scrivendo da lombardo) incapacità di fare squadra? Ecco allora che la Caporetto di Malpensa, in attesa del salvataggio promesso dai tedeschi di Lufthansa, lo stallo dell’Expo, obbligano a una chiamata a raccolta. Prima che sia troppo tardi: Milano e Lombardia emarginate nelle rotte aeree, un Expo ridotta a carrozzone di serie B, non servono a nessuno. Devono però essere i lombardi a dimostrarlo a se stessi, con un colpo di reni.