Opinioni

Dopo il Nobel. Takashi Nagai e quel che è fiorito sulle ceneri dell'atomica

Giorgio Paolucci venerdì 18 ottobre 2024

Le rovine della cattedrale cattolica di Nagasaki dopo l’atomica

La recente assegnazione del Nobel per la Pace a Nihon Hidankyo, l’associazione dei sopravvissuti (hibakusha) alle bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, oltre a costituire un potente monito sul pericolo che continua a incombere sul mondo e che in questi mesi si è fatto ancora più minaccioso, ha illuminato i volti e le ferite ancora aperte delle persone che nell’agosto del 1945 sono state vittime e spettatrici di quelle tragedie, e che si battono per la messa al bando delle armi nucleari e per l’edificazione della pace. C’è un uomo che nei giorni bui seguiti all’esplosione e nel periodo della ricostruzione si staglia come figura carismatica che ha lasciato un segno indelebile, e ancora oggi ha molto da insegnare su cosa significhi essere peacemaker, costruttori di pace: è Takashi Paolo Nagai, medico radiologo e scienziato che la mattina del 9 agosto 1945, al momento dell’esplosione che devastò Nagasaki, lavorava in ospedale e si salvò grazie alle pareti in cemento armato che dovevano schermare dalle radiazioni gli edifici circostanti. Alle 11.02 un B29 americano aveva sganciato sulla città una bomba atomica al plutonio 239 (chiamata “Fat Man” per le sue grandi dimensioni) tre giorni dopo il lancio su Hiroshima di una bomba all’uranio 235. A Nagasaki rimasero uccise all’istante 40.000 persone, oltre 55.000 furono i feriti, il numero totale dei morti venne valutato attorno a 80.000 considerando anche chi si trovò esposto alle radiazioni nelle settimane seguenti.

Nei giorni immediatamente successivi all’esplosione Takashi Nagai, anche se ferito, si prodiga senza sosta per soccorrere i sopravvissuti assieme ai pochi medici rimasti, quando arrivano i colleghi dell’esercito da altre città corre a casa in cerca della moglie Midori ma nell’abitazione trova solo un mucchietto di ossa annerite e i resti del rosario con cui la donna stava pregando: è l’estrema testimonianza di fede resa da colei che aveva cambiato radicalmente la sua esistenza. Incontrandola mentre era ancora studente universitario aveva conosciuto e poi abbracciato il cristianesimo. Anche Midori era a suo modo una “sopravvissuta”, erede della tradizione dei “cristiani nascosti” che per duecentocinquant’anni avevano tramandato di padre in figlio il tesoro della loro esistenza, la fede cristiana, vivendo in clandestinità per sottrarsi alle persecuzioni delle autorità giapponesi. È proprio quel tesoro che permette a Takashi Nagai di stare di fronte alla devastazione dell’atomica con lo sguardo nutrito da un’invincibile speranza e con un’irriducibile carica di positività, fino a contagiare tante persone attorno a lui.

Nel libro Pensieri dal Nyokodo scrive: «Avendo io subìto gli effetti della bomba atomica sulla mia pelle, mi rendo conto molto bene di quale sia il danno più terribile che ci sia stato arrecato. La cosa più devastante che ci è accaduta non è la perdita delle nostre case, né il fatto che tutti i nostri beni siano andati in fumo; e non è neanche la morte di tanti nostri parenti e amici, non le deturpazioni dei nostri corpi né l’incapacità di lavorare a causa della malattia, ma è proprio l’orrore che è entrato nella nostra stessa anima e che si manifesta con la perdita di fiducia nell’umanità». Come riconquistare quella fiducia nell’umanità che l’atomica sembrava avere annientato? Gli ultimi anni della sua esistenza diventano l’occasione, dolorosa e insieme feconda, per scoprirlo e testimoniarlo. Nei mesi successivi all’esplosione il medico diventa punto di riferimento per la rinascita spirituale e materiale di Nagasaki – la città culla del cristianesimo giapponese, tanto da venire chiamata “la Roma d’Oriente” –, animando numerose iniziative per la ricostruzione e dando vita a un movimento per la pace fondato anzitutto sul cambiamento della persona, consapevole che la radice profonda del male abita nel cuore dell’uomo, nella sua presunzione di sostituirsi a Dio, e solo Dio può estirparla. «A cominciare da oggi – scrive – dobbiamo fare una sincera auto-riflessione e offrire un altro nuovo sacrificio, più grande di quello della bomba atomica. Che sia il giorno di una nuova preghiera. Che sia il sacrificio del cambiamento di noi stessi, ciascuno per sé. Oggi che il mondo si trova in questo stato, vale la pena iniziare un vero movimento per la pace, nella giustizia, nella pazienza e nell’amore, con umiltà e con determinazione».

Takashi Paolo Nagai nel “nyokodo” - .



Prostrato dalla leucemia mieloide, che aveva contratto a causa della prolungata esposizione alle radiazioni durante l’attività di radiologo (in un’epoca in cui non esistevano ancora le attuali misure di protezione), deve lasciare il lavoro e trascorre gli ultimi cinque anni di vita costretto nel suo letto di malattia a Urakami, il quartiere di Nagasaki dove sorgeva la sua casa, epicentro dell’esplosione e ridotto a una landa deserta. Nella minuscola capanna che ha scelto come dimora trascorre le giornate pregando, dipingendo, scrivendo, incontra migliaia di persone colpite dalla sua testimonianza e dai suoi scritti. Tiene per sé e per i due figli il minimo indispensabile per campare e offre il resto per le necessità della città, come la ricostruzione dell’ospedale, di una scuola, di una biblioteca e di una chiesa. Dal 1945 alla sua morte (1951) scrive venti libri, alcuni diventano best seller tradotti anche all’estero. Quando nel 1948 vince un premio letterario, con il denaro ricevuto fa piantare mille alberi di ciliegio intorno alle rovine della chiesa di Urakami perché la bellezza potesse rifiorire sulle colline della landa atomica, convinto che quando tutto intorno è crollato si può continuare a vivere rimanendo attaccati a Ciò che non muore mai, come recita il titolo di uno dei suoi libri.

Costretto a letto dal progredire della malattia, riceve la visita dell’imperatore Hiroito e l’apprezzamento del governo per la speranza che i suoi scritti e la sua testimonianza suscitano nell’opinione pubblica. Nel 1949 alcuni libri vengono inseriti tra i testi in uso nelle scuole, esce un film a lui dedicato, viene riconosciuto e onorato come eroe nazionale, premiato dal sindaco di Nagasaki e nominato primo cittadino honoris causa. L’ultimo suo libro – Il Passo della Vergine, recentemente tradotto anche in italiano (edito da San Paolo) – racconta l’odissea dei “cristiani nascosti” che in mezzo a persecuzioni e violenze hanno testimoniato quanto l’amore di Dio sia capace di alimentare l’esistenza, di guardare anche i nemici come fratelli e di rendere capaci di perdono. Quello che viene ricordato come “il santo di Urakami” (dal 2021 è stata avviata la causa di beatificazione per lui e per l’amata Midori) muore il primo maggio del 1951: ai funerali celebrati tra le rovine della chiesa partecipano 20.000 persone, alle campane della chiesa si uniscono quelle di altri campanili e dei templi buddisti e le sirene delle fabbriche e delle navi, per rendere omaggio a un grande amico del popolo riconosciuto come un autentico peacemaker. L’epitaffio per la tomba, che lui stesso aveva composto, recita: “Siamo servi inutili, abbiano fatto solo il nostro dovere”.

Anche oggi risuonano come monito all’intera umanità le parole scritte nei Pensieri dal Nyokodo: «Non solo Nagasaki. Il mondo intero è stato trasformato in una landa desolata dalla guerra e su di esso è sorto il nuovo mattino chiamato “era nucleare”. Cosa porterà l’era nucleare al genere umano? Prosperità o rovina? Dipenderà solo dai cuori di noi moderni che quest’era la viviamo. In questo momento, vorrei che la voce della campana della pace si facesse ancora più forte e si diffondesse sempre più».