«Il guaio, caro mio, è che non si può vivere senza speculare». Non è una boutade, e nemmeno cinismo da gnomo di Zurigo. È una constatazione realistica: prendere decisioni nel tempo, nell’incertezza e nell’interdipendenza locali e globali significa rischiare, qui e ora, sulla base di una ragionevole aspettativa riguardo al futuro. Sono le aspettative, le motivazioni e le convinzioni a muovere la vita economica delle famiglia, delle imprese e delle nazioni; la dimensione immateriale (speculativa, nel senso buono) davvero fa la differenza anche nelle vicende materiali (
Caritas in veritate, 77). Come non ricordare che l’Italia è ripartita baldanzosa, dopo la guerra, pur in condizioni materiali disperate?Speculare, cioè agire sulla base di convinzioni e aspettative, è di tutti, ma è il contenuto specifico dell’agire finanziario. Senza finanza è più complicato vivere, persino le vite semplici di chi – due terzi della popolazione mondiale – cerca solo di soddisfare i bisogni essenziali della sua famiglia. La ricerca sul campo conferma che anche i più poveri tra i poveri risparmiano; e che sanno bene cosa fare del credito, quando riescono a ottenerlo. C’è dunque speculazione e speculazione. C’è un nettissimo contrasto fra chi specula, cioè si proietta nel futuro per «fare conoscere e avere di più, per essere di più» (
Populorum progressio, 6 ),e chi invece specula solo per «avere di più». Fra le due speculazioni c’è un abisso: l’abisso fra la libertà umana che cerca la virtù, o che non se ne cura; fra l’impegno dell’intelligenza e della volontà nel perseguire il «di più» che attrae, o nel raggiungere il meschino «di più» del valore di un portafoglio.Che fare, dunque, di fronte ai chiari segnali di persistenza di quella finanza speculativa, frutto di una «intelligenza offuscata» e di una «volontà curvata» (per usare due espressioni fortissime di Benedetto XVI), che ha già mostrato i suoi pesanti limiti? Una cosa non serve molto: ripetere "basta speculazione". Non serve perché non distiingue tra le due diverse speculazioni. E perché non si può fare. Anzi, il pensiero-slogan 'tutta colpa della speculazione' può addirittura rallentare i tempi di azioni costruttive improrogabili: pensiamo in particolare agli investimenti agricoli nei Paesi a basso reddito, indispensabili per contribuire alla sicurezza alimentare in un mondo dove le forti oscillazioni dei prezzi agricoli riflettono sì le dinamiche speculative, ma la loro tendenza al rialzo ha anche delle importanti cause reali. Una cosa è invece indispensabile: rimettere in gioco la ragione tutta intera, intelligenza e passione, per rilanciare lo sviluppo anche grazie alla finanza.Giustamente è stato detto che il 'sonno della ragione' ha generato la crisi finanziaria, per l’acritico affidarsi alle procedure meccaniche di sofisticati "sistemi esperti", per il ricorso generalizzato a forme contrattuali innovative e mal comprese, per il
mark to market come pratica indiscussa di valutazione delle attività finanziare. In una parola, la chiusa autoreferenzialità della finanza l’ha condannata. Diceva Thomas Stearns Eliot: «Sognano sistemi così perfetti nei quali non sia più necessario essere buoni». Potremmo parafrasare: «Sognano sistemi finanziari così perfetti nei quali non sia più necessario essere prudenti». Può infatti essere persino riduttivo invocare regole, pur importanti, che si limitino a imbrigliare l’esistente. Se al mondo della finanza si proibisce di fare A, B e C, in poco tempo verranno inventati sistemi e prodotti D, E e F, ancora più astrusi, complicati e rischiosi. Una parziale alternativa è mettere le conseguenze di comportamenti pericolosi in capo a chi se ne assume il rischio.Le banche in quanto erogatrici di credito devono avere tutele normative per il bene pubblico costituito dal risparmio che gestiscono. Una proposta plausibile potrebbe essere che, quando invece emettono derivati o impacchettano mutui, le banche diventino istituzioni finanziarie senza garanzie. Ecco allora la sfida per l’oggi: educare alla finanza 'per lo sviluppo' e alla prudenza sia i risparmiatori, sia gli imprenditori, sia gli operatori finanziari. Gran virtù, la prudenza; mamma di tutte le virtù, incluse la fortezza di chi osa il rischio e l’innovazione e la temperanza di chi sa che non serve «avere di più» senza «essere di più».