Opinioni

Il giusto spazio della trascendenza. Superare laicismo e fanatismo

Francesco Tomatis venerdì 16 gennaio 2015
La furia iconoclasta giunge a Parigi, capitale del laicismo, dai lumi all’appariscente lumière. Con un vile atto terroristico, un’esecuzione programmata delle 'matite' che hanno osato raffigurare con ironia, e purtroppo persino con sarcasmo e blasfemia, Colui che non ha simile. Chi sono i terroristi, a un tempo giudici e ghigliottinatori? Pseudoislamici fanatici, si dirà. In realtà anche pronipoti dell’imperialismo colonialista d’antan e figli della stessa laicità che pretendono di mettere al patibolo. La quale non merita certo di morire sotto il fuoco di due vigliacchi terroristi educati ai margini della grandeur, fra codici napoleonici e ritmi rap, realtà virtuale e sacri testi compulsati solo di terza mano, per sentito dire. Tuttavia dovrà rimettersi in discussione, ancor più radicalmente di quanto fatto sinora. Il Corano non prescrive l’iconoclastia. Nella Sura XXI Abramo reputa grave errore l’adorazione di immagini, in luogo dell’adorazione di Dio, ma aggiunge che ciò non può portare 'né vantaggio né danno'. Eppure con nettezza viene ribadito che niente assomigli al Creatore. Proprio per l’assoluta trascendenza di Dio rispetto a qualsiasi immagine e realtà umana o mondana, l’evidente distanza, non è necessario distruggerne le imitazioni, per quanto ne sia errata la venerazione. Questa stessa distanza fra Dio e l’uomo è il presupposto della relazione per eccellenza, l’incarnazione di Dio cristiana. Gesù Cristo, parola stessa di Dio, figlio di Dio, è 'icona del Dio invisibile' (Colossesi, I 15) non nel senso della piena manifestazione sino all’esaurimento della differenza, ma in quello della rivelazione del mistero, del divenir evidente dell’invisibilità e ulteriorità di Dio. Proprio nella parola s’evince il silenzio da cui proviene, solo nelle immagini finite si comprende l’ulteriorità immane del Dio infinito irraffigurabile.  Senza relazione, senza analogia, abbiamo il nulla. Che sia il nulla nichilistico del laicismo assolutizzato, di massa, o il nulla pseudoteistico, fanatico, che induce al terrorismo qualche esaltato. Nei testi sacri delle religioni, sia ebraica, cristiana e islamica, sia induista, buddhista, taoista o altre ancora, troviamo sempre, assieme alla rivelazione del Divino, anche la sua trascendenza, ulteriorità, infinità. È l’aspetto di Dio che più alimenta la dimensione mistica dell’uomo, la quale permette di comprendere come la persona umana sia costitutivamente aperta a qualcosa di più grande di lei, che mai può antropomorficamente rinchiudere una volta per tutte in una parola, in un’immagine, in una formula o ideologia, tuttavia sempre deve ricercare in ogni propria misera parola, discreta immagine, umile tratto di vita. È un malinteso laicismo ateo, negatore assieme a Dio d’ogni dimensione umana eccedente una sua calcolabile, miope catalogazione, quello che, riducendo l’uomo a materia misurabile, commerciabile, consumabile, apre il varco a ogni altra possibile violazione dell’uomo, in un nichilismo senza fine. Esso non è che la versione moderna d’un teismo altrettanto assolutista e incapace di comprendere la realtà umana come costituita da Dio e la sovrarealtà divina rivolta, per quanto da un’alterità ineliminabile, all’uomo. Non si fermerà il terrorismo fanatista (nichilisticamente dedito all’idolatria dell’iconoclastia) né con le più sofisticate armi tecnologiche né con il ribadimento del laicismo riduzionista (altra idolatria dell’ideologia), giunto a svuotare gli uomini del naturale anelito alla trascendenza, che invece andrebbe alimentato ed educato correttamente. La vera guerra santa, o anche ironia, a cui è necessario ricorrere è quella esercitata su se stessi, volta a interrogare radicalmente innanzitutto il proprio intimo, nel quale soltanto è possibile trovare quell’apertura alla trascendenza costitutiva di ogni uomo – che rende capaci di libertà responsabile, di autentico amore solidale con gli altri, in quanto permette di riconoscersi come umilmente esistenti in grazia d’una realtà ancora più grande.