Nei pezzi scritti senza troppa fantasia, si dice spesso «neppure più fa notizia l’ultima strage...». Per lo Yemen, Paese massacrato ai margini di un disastrato Medio Oriente, la realtà è ancora peggiore, dato che – con qualche lodevole eccezione – le stragi che avvengono sul suo territorio non hanno mai veramente colpito le opinioni pubbliche internazionali. E tantomeno hanno spinto all’azione le cancellerie. Un po’ per disattenzione: sui tavoli diplomatici vi è sempre qualche questione più urgente o più importante per la sicurezza regionale; molto per colpevole indifferenza – mescolata a più di un calcolo tattico e a qualche corposo interesse – verso quanto avviene in quel povero Paese.
Dal marzo dello scorso anno, una coalizione guidata dall’Arabia Saudita bombarda parti dello Yemen per combattere i ribelli sciiiti Houthi, che Riad ritiene manovrati dall’Iran, e per ripristinare militarmente il governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, scacciato dalla capitale agli inizi del 2015. Quella che doveva essere una campagna lampo del nuovo re saudita Salman si è trasformata in uno smacco strategico per gli sceicchi arabi e in un incubo per la popolazione, stretta fra bombardamenti indiscriminati, scontri di milizie, attentati terroristici sempre più sanguinosi dei gruppi jihadisti – come quello di ieri che ha fatto strage di reclute nella città di Aden – e il dilagare di malnutrizione e mancanza di cure di base.
Lo scandalo dei bombardamenti della coalizione anti-Houthi – che colpiscono indiscriminatamente ospedali, campi profughi e quartieri civili con l’uso di armi vietate come le bombe a grappolo – non ha portato a una vittoria sul campo, ma ha contribuito a estremizzare il conflitto e ha favorito il proliferare delle forze di Aqap (al-Qaeda nella Penisola Arabica) e di gruppi terroristici che si riconoscono nel Daesh. Proprio questi ultimi hanno colpito ieri e sono responsabili di sanguinosi attentati (suicidi e no). Anche se, va detto, la variabile dell’estremismo religioso spesso è solo una maschera per conflitti clanico-tribali e per regolamenti di conti con figure del passato o del presente regime. L’ex presidente Saleh, ad esempio, non sembra scollegato dalla crescita dell’attività terroristica, nonostante sia vicino agli Houthi sciiti e in passato si sia sempre accreditato quale acerrimo avversario dei gruppi jihadisti.
In Occidente, i governi sono stati molto (anzi, troppo) prudenti, dato che – avendo sconfessato i sauditi nel caso del compromesso sul nucleare iraniano e in Siria – non hanno voluto umiliarli intervenendo anche sul dossier yemenita, imponendo una sospensione o almeno una limitazione dei bombardamenti. È chiaro, tuttavia, che la politica di Riad, ossessionata dal "nemico Iran" e che punta a dettare condizioni, più che a cercare accordi, non può essere la ricetta per portare a un compromesso politico in Yemen. Compromesso di cui la popolazione ha disperato bisogno. E anche la regione: fermare un conflitto tanto sanguinoso quanto inconcludente non solo aiuterebbe i civili yemeniti e eviterebbe la disgregazione di un altro Paese in un Medio Oriente già troppo sbriciolato, ma sarebbe la migliore politica per indebolire i gruppi jihadisti che si muovono oggi con impunità. Purtroppo, diversi tentativi di accordo sono finora falliti.
È evidente quindi come occorra maggior impegno da parte di tutti gli attori coinvolti. E in particolare dalle Nazioni Unite. Quanto infatti stupisce maggiormente nella vicenda è la fragorosa afonia dei vertici Onu. Certo, sarebbe stato forse troppo aspettarsi che l’attuale segretario generale – giunto alla conclusione del suo mandato – mostrasse almeno in questo frangente più determinazione e coraggio. Ma il silenzio con cui si assiste ai continui massacri è davvero intollerabile. Tanto più che vi sono sul campo validissimi funzionari del Palazzo di Vetro; senza però un pieno sostegno da parte dei vertici della diplomazia internazionale ogni iniziativa di pace è condannata a scontrarsi con chi considera lo Yemen solo una casella della grande scacchiera mediorientale. E non vede un popolo sfinito, che ha già pagato un prezzo pesantissimo ai giochi di potere interni e regionali e ai cinici calcoli di venditori di armi e di strateghi senza visione e senza morale.