Il direttore risponde. Sulle omelie, anzi sulla politica
Rodolfo Comelli, Verona
Capisco il suo punto di vista, gentile signor Comelli, e so che dalle omelie dei nostri sacerdoti noi laici ci aspettiamo giustamente molto. A volte, purché sappiamo ascoltare, e magari ritrovandoci lontano dai luoghi abituali, troviamo in quelle prediche sorprendenti squarci di luce, incitamenti saggi, risposte semplici ed efficaci. Altre volte, purtroppo, aspettiamo invano. Anche se c’è sempre una prossima volta, una chiesa aperta, una voce che ci viene incontro. Capisco, insomma, il suo lamento, senza però riuscire a condividerlo. E non solo perché domenica ero a Messa altrove e non anch’io lì, nel Veronese. Ma per istinto e per ragione. Mi pare, infatti, che lei quel giorno non volesse tanto ascoltare una riflessione profonda e, per così dire, mobilitante sulla Parola di Dio, quanto piuttosto una specie di arringa a sfondo politico-referendario. Quasi che il "fatto del giorno" – per noi cristiani – non fossero esattamente il «fuoco» e il «vento» di Pentecoste. Mi perdoni se giudico da lontano la sua intenzione, però è lei a indurmi a questo esercizio con quel che mi ha scritto con tanta foga e passione polemica. Della forza della parola del "suo" predicatore, invece, nulla so e, perciò, nulla posso e voglio dire. Posso e voglio, però, sottolineare qualcosa che so bene, e cioè che tra una omelia insipida e un improprio "comizio" c’è molta, molta distanza. E, per quella che è la mia esperienza, spazio e toni giusti di una "predica" sono lì in mezzo, sono in quella distanza dai due estremi (retorici e di contenuto) opposti. Una distanza sana, che può farsi vicinanza illuminata dal Vangelo alla vita e alle scelte di ciascuno. Interrogare e scuotere dal pulpito, gentile lettore, non vuol dire prendere letteralmente partito o intimare allineamenti, ma aiutare – con la propria testimonianza e con il riferimento a valori chiari a tutti e a verità fondamentali per i credenti – ad accendere riflessioni e a suscitare impegni personali e comunitari. Altro che divagare... Per questo andiamo in chiesa guardando all’amore crocifisso di Dio e certi della presenza di Cristo tra noi. Per questo in chiesa portiamo appunto "solo" noi stessi, e non le bandiere, i fischietti e gli striscioni del momento... Poi, sulla "piazza" della città – che spesso, nella nostra Italia, coincide anche col sagrato – toccherà ancora a noi, nel tempo che ci è dato e con limpida coerenza, di fare un buon lavoro da cristiani e da cittadini.