Opinioni

Il direttore risponde. Sulle omelie, anzi sulla politica

giovedì 16 giugno 2011
Gentile direttore,è festa di Pentecoste e mi reco alla Messa nella mia chiesa, in provincia di Verona. Durante il Vangelo il prete parla dello Spirito Santo, che aleggia sulle acque del pianeta terra all’inizio della Creazione. Penso che abbia trovato un ottimo spunto per parlare dell’importanza dell’acqua, che ha permesso la nascita della vita e che è un patrimonio di tutti, un bene da salvaguardare per il futuro dell’Umanità. Invece nulla, non un commento. Mi aspetto un collegamento con il Cantico delle Creature di San Francesco dove si dice: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta» e del rischio che venga sottratta all’Uomo per diventare un Affare con cui far quattrini. Invece nulla, non un pensiero. La predica prosegue e si parla dello Spirito Santo, che scende come fiammelle sugli Apostoli. Mi aspetto che si commenti che lo Spirito, che è di Verità, sia in grado di dare all’Uomo la forza e il coraggio di combattere per la giustizia e per l’affermazione del Regno di Dio già in questa vita terrena. Invece nulla, silenzio assoluto. Il prete si limita a parlare delle fiammelle. Trascorre il tempo e la predica è sempre più vuota e distante dall’Uomo. Considerando che oggi si dovrebbe andare a votare mi aspetto un paragone: il Figlio di Dio ha dato la vita per l’Umanità per spalancarle le porte del Regno. Anche molti uomini, fra cui molti giovani, hanno dato la vita perché l’Italia fosse unita e repubblicana e perché tutti avessero gli stessi diritti, uomini e donne, fra cui quello al voto. Non è forse un obbligo andare a votare considerando tutto il sangue che è stato versato per questo diritto? Non dovrebbe il prete indicare: «Date a Cesare quel che è di Cesare» come obbligo di partecipazione alla vita pubblica e sottolineare l’importanza del voto, non importa se a favore o contro? Invece nulla. Il prete tace. Meglio divagare da certi temi, così nessuno si sente coinvolto, e poi ci si meraviglia se le chiese si svuotano e sono popolate, purtroppo, solo da vecchi. La predica dovrebbe scuotere le coscienze, ma ho l’impressione che volutamente non si voglia turbarle, risvegliarle. Meglio lasciarle quiete.

Rodolfo Comelli, Verona

Capisco il suo punto di vista, gentile signor Comelli, e so che dalle omelie dei nostri sacerdoti noi laici ci aspettiamo giustamente molto. A volte, purché sappiamo ascoltare, e magari ritrovandoci lontano dai luoghi abituali, troviamo in quelle prediche sorprendenti squarci di luce, incitamenti saggi, risposte semplici ed efficaci. Altre volte, purtroppo, aspettiamo invano. Anche se c’è sempre una prossima volta, una chiesa aperta, una voce che ci viene incontro. Capisco, insomma, il suo lamento, senza però riuscire a condividerlo. E non solo perché domenica ero a Messa altrove e non anch’io lì, nel Veronese. Ma per istinto e per ragione. Mi pare, infatti, che lei quel giorno non volesse tanto ascoltare una riflessione profonda e, per così dire, mobilitante sulla Parola di Dio, quanto piuttosto una specie di arringa a sfondo politico-referendario. Quasi che il "fatto del giorno" – per noi cristiani – non fossero esattamente il «fuoco» e il «vento» di Pentecoste. Mi perdoni se giudico da lontano la sua intenzione, però è lei a indurmi a questo esercizio con quel che mi ha scritto con tanta foga e passione polemica. Della forza della parola del "suo" predicatore, invece, nulla so e, perciò, nulla posso e voglio dire. Posso e voglio, però, sottolineare qualcosa che so bene, e cioè che tra una omelia insipida e un improprio "comizio" c’è molta, molta distanza. E, per quella che è la mia esperienza, spazio e toni giusti di una "predica" sono lì in mezzo, sono in quella distanza dai due estremi (retorici e di contenuto) opposti. Una distanza sana, che può farsi vicinanza illuminata dal Vangelo alla vita e alle scelte di ciascuno. Interrogare e scuotere dal pulpito, gentile lettore, non vuol dire prendere letteralmente partito o intimare allineamenti, ma aiutare – con la propria testimonianza e con il riferimento a valori chiari a tutti e a verità fondamentali per i credenti – ad accendere riflessioni e a suscitare impegni personali e comunitari. Altro che divagare... Per questo andiamo in chiesa guardando all’amore crocifisso di Dio e certi della presenza di Cristo tra noi. Per questo in chiesa portiamo appunto "solo" noi stessi, e non le bandiere, i fischietti e gli striscioni del momento... Poi, sulla "piazza" della città – che spesso, nella nostra Italia, coincide anche col sagrato – toccherà ancora a noi, nel tempo che ci è dato e con limpida coerenza, di fare un buon lavoro da cristiani e da cittadini.