Opinioni

Reportage. Antartide, sulla nave italiana per capire il legame tra clima e ghiacci

Stefano Valentino martedì 18 aprile 2023

La nave "Laura Bassi"

La rompighiaccio “Laura Bassi” dell’Istituto nazionale di Oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste (Ogs) ha concluso ieri a Ravenna, da cui era salpata a novembre del 2022, il suo giro del mondo che l’ha condotta a toccare il punto più vicino al Polo Sud raggiungibile via mare. Dopo aver attraversato lo stretto di Suez e l’Oceano indiano ed aver fatto una prima tappa in Nuova Zelanda, dove ha imbarcato il personale scientifico, la Laura Bassi si è lanciata nella sua corsa di oltre 3.000 km verso la stazione italiana in Antartide Mario Zucchelli. Alla fine dei due mesi di campagna scientifica (da inizio gennaio a inizio marzo), l’imbarcazione è quindi ripassata per la Nuova Zelanda per proseguire il suo viaggio di ritorno verso Est nell’Oceano Pacifico, affrontando le burrasche di Capo Horn (punto più a Sud dell’America Latina), per poi solcare l’Atlantico ed entrare infine nel Mediterraneo. La 38ª campagna oceanografica del Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra), gestito da Enea e Cnr, ha permesso ai ricercatori e ai tecnici a bordo di condurre cruciali indagini nelle acque che bagnano il continente più meridionale della Terra.

I dati e i campioni raccolti verranno ora analizzati nei laboratori in Italia per approfondire le interazioni tra l’ambiente antartico e l’assetto climatico del pianeta, ma non solo. A proposito di clima, un recente studio anglonorvegese, pubblicato su “Nature” a inizio aprile, avverte che l’aumento delle temperature potrebbe far fondere la calotta antartica a un ritmo più elevato di quello ipotizzato finora, innescando una serie di effetti a catena che potranno essere anticipati solo proseguendo le ricerche in Antartide, come quelle realizzate con la Laura Bassi. Durante la nostra odissea tra gli iceberg, abbiamo costeggiato gli imponenti ghiacciai che scendono dal continente fino ad appoggiarsi sui fondali, come il Ross Ice Shelf. Lungo queste muraglie bianche, e in altre aree della Baia di Terranova, i ricercatori hanno adoperato diverse tipologie di strumentazioni subacquee, operando in due fasi successive della spedizione.

«Quest’anno l’avvicendamento tra i due gruppi di ricercatori è avvenuto direttamente a Mario Zucchelli, dove abbiamo peraltro sbarcato materiale necessario alla base, per evitare una nuova doppia traversata per e dalla Nuova Zelanda, guadagnando così prezioso tempo da dedicare alle attività scientifiche», spiega il Capospedizione Riccardo Scipinotti dell’Enea. La complementarietà tra i progetti condotti nelle due turnazioni consentirà di interpretare il complesso sistema di relazioni che collegano terra, ghiaccio e acqua nel contesto delle mutazioni in corso. Durante la prima fase, si è anche svolto un innovativo sforzo di batimetria per aggiornare la cartografia nautica nei dintorni della stazione Mario Zucchelli Idromar. «Abbiamo scandagliato anche aree finora mai studiate, a supporto della sicurezza della navigazione e delle attività scientifiche», spiega il Tenente di Vascello Nunzio Moschetto, responsabile del progetto Idromar dell’Istituto idrografico della Marina di Genova. «Siamo soddisfatti dei traguardi scientifici raggiunti grazie alla collaborazione di tutti gli enti italiani che operano nelle aree polari», dichiara Franco Coren, direttore del Centro Gestione Infrastrutture Navali dell’Ogs.

La nave "Laura Bassi" ha raggiunto il punto navigabile più a sud della Terra - Valentino

In particolare, il secondo gruppo di ricercatori si è addentrato tra i ghiacci di Cape Hallet e Edisto Inlet, e si è concentrato sulla raccolta di sedimenti dai fondali marini. Il team del progetto Boost, guidato da Laura Crispini, coordinatore scientifico della seconda fase della spedizione e docente di Geologia strutturale all'Università di Genova, ha svolto indagini di geologia marina e campionato sedimenti dai fondali oceanici in un’area poco o per nulla battuta dalle navi da ricerca. «Intendiamo costruire un modello morfologico-tettonico che correli le faglie che studiamo da anni a terra con quelle sotto il fondo del mare per comprendere il loro impatto sulla calotta glaciale dell’Antartide», spiega Crispini, «è essenziale comprendere in che modo i movimenti tettonici nel tempo (come fratture crostali, eruzioni vulcaniche, terremoti e frane) hanno plasmato la piattaforma continentale dove si appoggia la calotta glaciale».

Boost, realizzato in collaborazione con l’Istituto Bgr di Hannover, vuole scoprire come il continente antartico si sia isolato dagli altri continenti e dove si siano formati i primi pezzi della sua calotta. «La nostra ricerca consentirà anche di capire in che modo i movimenti della crosta terrestre potrebbero accentuare o attenuare le variazioni di forma e spessore dei ghiacci continentali legate ai cambiamenti climatici», precisa Crispini. I risultati potranno eventualmente essere combinati con quelli del progetto Disgeli sull’arretramento dei ghiacciai, condotto nel primo turno della spedizione. Lo scopo è approfondire le meccaniche della riduzione delle coperture glaciali.

La caccia ai sedimenti è anche l’elemento chiave del progetto “Lasagne” di Leonardo Langone, Dirigente di ricerca dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr. « Studiamo in tempo reale il modo in cui le alghe che vivono alla base del ghiaccio marino si depositano nei fondali una volta che il ghiaccio si fonde», spiega Langone, «l’obiettivo è individuare gli elementi necessari a calibrare le osservazioni climatiche di lungo periodo basate sui sedimenti antichi». Il sedimento, composto principalmente da resti di alghe, si forma a strati, proprio come una lasagna: lo strato di alghe scure è il ragù, quello delle alghe chiare la besciamella e poi c’è la sfoglia fatta di detriti inorganici. «Vogliamo capire se si accumula prima il ragù o la besciamella» puntualizza Langone.

Apparecchi per misurare salinità e temperatura dell’acqua e velocità delle correnti - Valentino

È importante determinare se lo strato scuro si accumula nel sedimento dopo quello chiaro, cioè in tarda estate quando la fusione del ghiaccio marino raggiunge il picco. Ciò significherebbe infatti che il rinvenimento di tracce di alghe scure nei sedimenti antichi può essere considerato una prova certa di una minore estensione dei ghiacci in uno specifico periodo geologico. «Confrontiamo inoltre la presenza di alghe nei sedimenti coi livelli attuali di temperatura e salinità delle acque, nonché con la velocità delle correnti, misurati con strumenti lasciati in mare tutto l’anno (mooring oceanografici)», spiega Langone, «in questa maniera riusciamo a stabilire che la presenza di alghe scure può effettivamente dare indicazioni sull’evoluzione di temperatura e salinità nel corso di migliaia di anni».

Queste informazioni saranno utili come cartina di tornasole per il progetto Greta che, durante la prima fase della spedizione, ha appunto raccolto sedimenti antichi per rinvenire tracce di alghe. A partire da questi residui si tenterà di ricostruire la variazione dell’estensione del ghiaccio marino e quindi del livello di salinità delle acque negli ultimi 2.000 anni. Congelandosi, l’acqua rilascia sale in mare. Maggiore è l'estensione del ghiaccio marino, maggiore è quindi il livello di salinità. E, più sono salate, più le masse d’acqua sono dense e pesanti. Riescono così a sprofondare ed essere trasportate dalle correnti verso l’Equatore da cui invece fluiscono verso i poli le acque calde, come spiegano i responsabili del progetto MorSea dell’Università Parthenope di Napoli, anch’esso condotto nella prima fase della spedizione. Questo moto inverso innesca la circolazione oceanica globale che svolge un ruolo fondamentale: mitiga infatti le differenze di temperatura tra le varie zone del globo, mantenendo stabile il clima.

Il progressivo scioglimento della calotta antartica è una delle variabili che potrebbe alterare questo meccanismo, oltre che a provocare l’innalzamento del livello del mare. «È cruciale continuare a raccogliere informazioni sul campo e tracciare delle tendenze di lungo periodo per affinare le previsioni sull’effetto che l’attuale surriscaldamento dell’aria potrebbe avere sulle dinamiche climatiche globali », conclude Tommaso Tesi, paleoclimatologo dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr.

La spedizione giornalistica in Antartide è stata realizzata grazie all’invito del Pnra che ha ospitato Stefano Valentino a bordo della nave Laura Bassi.