Opinioni

Ancora tensioni a un anno dall'indipendenza del Sud. Sudan, due Paesi a rischio e una lacerazione da ricucire

Giulio Albanese domenica 8 luglio 2012
È trascorso un anno dall’indipendenza delle regioni meridionali del Grande Sudan, avvenuta il 9 luglio del 2011. Una secessione che ha dato vita al 54° stato africano, in ottemperanza agli accordi di pace siglati nel gennaio 2005 a Nairobi. Nel frattempo, tra Nord e Sud sono riprese le ostilità. Un tragico scenario determinato dall’incapacità di raggiungere un’intesa soddisfacente sui confini, a cui bisogna aggiungere altre controversie irrisolte dalla valenza regionale ed etnica, come anche le questioni economiche, riguardanti il petrolio, le risorse idriche, i debiti e la lotta contro la povertà. Ecco che allora si è generato un vero esodo dal Nord musulmano verso meridione, da parte di quelle popolazioni di origine nilotica che non vogliono sottostare alla sharia, la legge islamica. Da rilevare che l’indipendenza del Sud Sudan ha lasciato in sospeso il destino di tre regioni ricche di greggio: la contea di Abyei, lo zone del Blue Nile e quella del Sud Kordofan.Mentre nella prima, per garantire la pace, è stato inviato un contingente di soldati etiopici e l’estrazione del petrolio è stata sospesa, negli due territori, ancora da assegnare formalmente al Nord o al Sud, il governo di Khartum pretende di governare con il pugno di ferro, ma la guerriglia dell’Spla-N (il Sudan People’s Liberation Army - North) è operativa su gran parte del territorio. In mano ai lealisti restano le città più grandi e il controllo dello spazio aereo da cui vengono lanciate micidiali bombe. Sud Kordofan e Blue Nile allo stato sono sotto la giurisdizione nordsudanese, il cui governo non dà i permessi per la distribuzione degli aiuti umanitari.Per quanto concerne il Sud, giovedì scorso il Consiglio di Sicurezza ha approvato una risoluzione che estende per un anno il mandato della missione Onu nelle regioni meridionali, sino al 15 luglio 2013. Il testo invita però il governo sudsudanese ad assumere maggiori responsabilità nella protezione dei civili. Intanto nel Nord proseguono ad oltranza le manifestazioni contro il regime di Omar Hassan Bashir, che ha imposto una ferrea politica di austerity. Per ora la repressione governativa è feroce, fatta di arresti, pestaggi a non finire e tanto gas lacrimogeno. Rimane inoltre aperta la crisi del Darfur (Sudan nordoccidentale) che continua a costituire un fattore destabilizzante nelle relazioni tra Nord e Sud. Furono infatti gli ex ribelli sud sudanesi dello Spla a formare e finanziare nel 2003 il primo movimento armato darfuriano, l’Esercito di Liberazione del Sudan (Sla). Nella regione l’anarchia regna sovrana e, come al solito, sono i più poveri a pagarne il prezzo maggiore. Al di là delle contrapposizioni politiche tra le formazioni ribelli e il governo di Khartum, anche questa guerra è legata al petrolio. In definitiva, le speranze di riconciliazione in Sudan sono ancora un miraggio. Molto dipenderà dal ruolo dell’Unione Africana, del mondo arabo (salafiti in primis, sempre più influenti nel Nordafrica) e delle grandi potenze come Cina e Stati Uniti. In questo contesto – va rammentato – la Chiesa cattolica continua ad essere una delle poche realtà che dimostra nei fatti di avere a cuore il bene supremo della pace.