Su Trump chiari giudizi, non pregiudizi. E una tenace speranza
Caro direttore,
sono un giovane prete della diocesi di Milano. Domenica 29 gennaio 2017 ho letto con interesse il suo editoriale circa le prime scelte politiche di Donald Trump («Infame è il marchio»). Ho deciso di postarlo sulla pagina Facebook del nostro oratorio e devo constatare che l’interesse verso l’argomento e la sua lettura è comune. In poco tempo centinaia di “like”. Con semplicità condivido qualche pensiero. Mi ha sorpreso innanzitutto questa aperta presa di posizione di “Avvenire”, che solitamente si muove con cautela, eppure anche con determinazione quando ci sono in gioco questioni forti. Lo leggo come un richiamo serio, forte, esplicito, da parte sua innanzitutto e del giornale che dirige. Un richiamo che va a dare fondamento alla mia personale perplessità e preoccupazione e a quella di molti altri, rispetto ai primi passi politici del neo eletto presidente Usa. Intorno a Trump vedo reazioni molto diverse. Qualcuno si lamenta di questa eccessiva attenzione nei suoi confronti. Tuttavia mi sembra logico che sia così: stiamo parlando del capo della prima potenza del mondo. Qualcuno invoca tempo e pazienza per poter esprimere un giudizio più completo e autentico. Altri tendono a minimizzare, evocando errori politici dei presidenti precedenti: operazione che giudico superficiale e ignorante; non è possibile giustificare errori attuali a partire da errori già commessi in passato. Altri manifestano un grande entusiasmo. Sinceramente questo entusiasmo, quando espresso in ambito ecclesiale, mi lascia abbastanza perplesso. Ovviamente ciascuno è libero di maturare ed esprimere una propria idea politica. Non metto in discussione questo. Mi preme però ricordare – e chiedo conferma di questo mio pensiero – che forse il cristiano dovrebbe maturare un sano atteggiamento critico nei riguardi del mondo politico e anche del mondo in generale. Dalla mia posizione – quella di un prete giovane che si occupa di oratorio e giovani – avverto il livello educativo della questione. Non possiamo lasciare i giovani da soli nel difficile compito di leggere in modo intelligente e critico questo mondo! A volte però mi coglie una certa timidezza, forse mascherata di prudenza. Sono convinto che dobbiamo ritornare a fare formazione politica. Ma è possibile farlo senza correre il rischio di prendere posizioni forti? Senza rischiare di essere visti come faziosi o di parte? D’altra parte viviamo tempi difficili. Le sollecitazioni che questo mondo ci manda sono forse troppe, difficili da organizzare in modo razionale e da comprendere. Forse è anche vero che il corpo ecclesiale – soprattutto europeo – si è indebolito e sembra non avere più la forza di reagire, di parlare con franchezza, senza arroganza o violenza verbale. Ma allora siamo destinati ad annunciare un Vangelo senza storia? Senza contesto?... Siamo destinati ad annunciare un Vangelo unicamente “domestico”, famigliare, piccolo, privato? Un Vangelo che sembra non essere provocato dai problemi del mondo?... Una fede sostanzialmente indifferente al mondo... Mi auguro vivamente che non sia così. Grazie per l’ascolto.
Caro direttore,
il nuovo presidente Usa, Donald Trump desidera porre in atto ciò che in campagna elettorale aveva promesso, nel suo programma, a chi, poi, lo ha sostenuto ed eletto: attuare una politica protezionistica nel proprio continente, a tutela del popolo statunitense e quindi, di stampo nazionalistico-conservatrice, eliminando controversie di confine con lo Stato del Messico, per i problemi di narcotraffico e altri di natura illegale e combattere il Daesh, ma impedendo, altresì, l’accesso negli Stati Uniti di rifugiati (ma anche di persone con permessi di soggiorno già ottenuti) provenienti da sette nazioni a maggioranza musulmana e appartenenti a quella religione. Nei giorni scorsi, oltre a rafforzare le sue linee guida per il confine lungo il Messico, ha, a mio avviso incautamente, emesso un decreto i cui effetti potrebbero, invece, nuocere, proprio, alla sicurezza della sua stessa Nazione. Questa sospensione generalizzata (anche se temporanea) dell’ingresso negli Usa di cittadini di altri Stati in ragione della loro fede pone inevitabilmente – come lei, direttore, ha sottolineato domenica scorsa – le basi per una discriminazione netta di religione, di cultura e anche di razza, che risulta difficile non accostare ad altre situazioni di un passato terribile che le persone più anziane ricordano, perché videro, di colpo, il concittadino ebreo espulso dalle scuole, dagli uffici pubblici e dal lavoro, in virtù di norme aberranti stabilite all’epoca, a «difesa della razza». Ecco: io non vorrei che questo atto del nuovo inquilino della Casa Bianca sia stato generato da una forma di impulsività “post” campagna elettorale, nella consapevolezza di essere divenuto molto potente... Certo, a mio parere, non rende onore alla sicura intelligenza di Trump, e rischia di far sì che i problemi aumentino, sia sul piano interno agli Usa sia a livello internazionale, con conseguenze imprevedibili e tristi.
Caro direttore,
invece di prendersela nei suoi editoriali e nelle risposte ai lettori con Trump, che fa quello che deve, metta al posto di tutte le categorie da lei citate domenica scorsa – migranti latinos, rifugiati musulmani... – le parole “bambini abortiti” e vedrà che il vero ipocrita è lei che finge di essere buono, difendendo i presunti deboli, ma non le importa nulla della radice del male. Una nazione come l’Italia dove ogni anno una moltitudine di bambini vengono uccisi prima di nascere, con aborto chirurgico e con varie pillole, strumenti pagati con i soldi di tutti noi, la dice lunga sui “difensori della vita umana” come lei... Mi spieghi perché devo accogliere nel mio Paese gente che invece di lottare nel proprio Paese per il bene (e non parlo certo di donne e bambini, ma di giovani robusti e forti), se ne va sicuro di avere poi accoglienza gratis in Europa e in America mentre i nostri vecchi e quattro milioni e mezzo di persone italiane sono in stato di povertà...
Signor direttore,
ho letto il suo editoriale «Infame è il marchio». Su “Avvenire” bisognerebbe informare che il “muro” al confine col Messico è stato eretto dall’amministrazione Clinton ( Trump lo sta solo rendendo più “sicuro”) e che accogliere senza “filtro” è da irresponsabili mentre al contrario vanno potenziati (questa è la vera carità...) gli aiuti alle popolazioni in difficoltà, ognuno a casa sua e con confini ben protetti. Inoltre, mentre quei maiali filo-gender dell’amministrazione Clinton-Obama favorivano l’aborto, si dovrebbe informare sul fatto che Trump l’ha subito bloccato. È evidente che “Avvenire” è al servizio di sordidi interessi... Il nome di Dio è usato invano da lei, direttore, evidentemente schierato con gli assassini islamici. Il suo vero scopo è quello di introdurre in Italia una generazione di nuovi schiavi disposti a lavorare per quattro soldi, ammantandosi farisaicamente di Misericordia. Trump con i suoi ultimi provvedimenti sta invece svolgendo un ruolo fondamentale in difesa di tutta la cristianità, cosa che a certi ipocriti produttori di carta igienica non interessa o addirittura disturba. Si vergogni...
Gentile direttore,
ho letto con amaro piacere il suo editoriale di domenica scorsa «Infame è il marchio». L’amaro sta nel contenuto e il piacere nel constatare la sua netta presa di distanza avverso le scelte gravemente discriminatorie ed esclusioniste di Trump nei confronti di interi popoli. Il suo articolo è evangelico: sì, sì, no, no perché il di più vien dal maligno, versetti che di solito non fanno parte del linguaggio usato in ambito cattolico, piuttosto propenso alla prudenza codina. Lei non rappresenta l’autorità della Chiesa, ma spero che anche a livello di vertici questo sia il linguaggio da usare in casi gravi come questo, come del resto ci ha abituati papa Francesco. Non sia mai che la Chiesa ripeta gli errori commessi con Hitler e Mussolini agli albori della loro presa del potere. Spero nel Papa, anche perché purtroppo a livello internazionale non vedo governanti autorevoli e credibili, né autorità morali riconosciute in grado di opporsi a questa deriva, per cui il Papa finisce per svolgere un’azione di supplenza, peraltro del tutto consona allo spirito evangelico. Non credo si possa fermare facilmente l’impeto distruttivo di questo «signore dei muri» che pretende di stabilire a priori quali sono i popoli «pericolosi» (esempio: sauditi no, somali sì), sulla base di teoremi utili solo a tacitare o a eccitare la pancia dei suoi elettori, ma si può e si deve innalzare una barriera protettiva dei valori assolutamente non negoziabili, perché hanno a che fare con la natura intrinseca dell’essere umano – diritto alla vita e alla dignità – sancita dalla normativa internazionale. Lei scrive giustamente: «se essere musulmano diventa un marchio di pericolosità (...) se per questo la condizione di persecuzione e di miseria di un essere umano diventano irrilevanti, nessuno è salvo, (...) ma tutti siamo in pericolo». È l’incubo nazifascista della prima metà del secolo scorso, troppo facilmente dimenticato, che si delinea e spero di sbagliarmi! I fenomeni più tristi della storia hanno sempre inizio dalla sottovalutazione del pericolo. Questo non significa che si debba accettare la situazione del mondo così com’è: che il capitalismo possa continuare impunemente a trasformare il mercato in divinità, prima con l’accumulazione derivante dalla produzione, poi con il consumismo sfrenato, e ora, che non ce n’è più per tutti, con il consumismo collaborativo – sharing economy (sto seguendo rozzamente il ragionamento del professor Bruni sempre su “Avvenire” di domenica) e neppure che la globalizzazione e il nuovo finanzcapitalismo in atto siano cosa buona e giusta. Spero di aver ben colto il senso di ciò che scriveva qualche giorno fa il professor Becchetti ancora su questo giornale: se la tesi è la globalizzazione, l’egemonia incontrastata della finanza speculativa, di cui Hillary Clinton è la triste rappresentante e l’antitesi è il protezionismo di Trump, non si tratta di schierarsi da una parte o dall’altra ma di trovare una conciliazione degli opposti. E possibile pensare di rispondere con i muri alle istanze di giustizia? Ma come è possibile non sentire il forte grido che invoca giustizia proveniente dai poveri del mondo e da quelli di casa nostra, dagli «scartati» come usa dire il Papa?
Sono contento delle tante condivisioni del nostro, e mio, motivato giudizio sugli avventati e odiosi gesti propagandistici e di discriminazione decisi dal presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump nei confronti dei latinos e dei rifugiati di religione musulmana (scriviamo da anni del muro col Messico e delle procedure arcigne, ma civili, che governano l’accesso agli Usa, la novità sono i termini e i toni ostili e persino incendiari con cui ora si alza il filo spinato della «indesiderabilità» nei confronti dei «marchiati»...). Prendo nota anche delle obiezioni, persino di quelle più aspre (questo, purtroppo, è uno stigma dei tempi che viviamo: l’aggressività anche volgare). Ma è importante che si discuta, certamente – lo ricordo soprattutto ai lettori occasionali di questo giornale – recuparando civiltà di toni e possibilmente con cognizione di causa. Ma soprattutto è giusto che ci si facciano domande e non si coltivino pregiudizi. Noi non ne abbiamo, ma giudizi sì. E quando c’è da parlar chiaro, parliamo chiaro. Per me questo atteggiamento è parte dell’impegno di una vita, non solo professionale. Lavorare ad “Avvenire” mi consente da molti anni ormai di esercitare una straordinaria libertà di sguardo e di analisi dentro la cornice valoriale di un’ispirazione cattolica limpida perché dichiarata e accettata, non perché esibita e strumentalizzata. Sono consapevole di quanto valga tutto questo e, da direttore, cerco di esserne custode. Per questo mi colpiscono alcune “sentenze” sul nostro lungo lavoro di informazione. È vero che la carta di giornale è leggera, ma le collezioni di questo quotidiano (e tutti i file che circolano per il web) sono testimoni dell’accuratezza delle cronache e della puntualità dei commenti che negli anni abbiamo sviluppato, dando a ciascuno il suo. Nel caso degli Stati Uniti d’America – solo per elencare gli ultimi presidenti – Bush padre, Clinton, Bush figlio, Obama e ora Trump hanno raccolto ogni volta ciò che avevano seminato. Chi non ci crede, si documenti pure. Ma non si aspetti aiuto da me: la mole delle “prove” è, infatti, immensa e non intendo rendere facile l’impresa a persone – come il signor Pernice – che credono di sapere tutto, ma dimostrano di non sapere affatto ciò di cui straparlano. Perché abbiamo contestato il Premio Nobel «preventivo» a Barack Obama? Perché abbiamo criticato a fondo le scelte di guerra di Bill Clinton e dei due George Bush? Perché abbiamo segnalato scelte invece positive di tutti questi potenti leader? Perché stiamo sottolineando la gravità di una serie di parole e di gesti “di conflitto” arrivati da Donald Trump? Perché è necessario – e così rispondo alla domanda diretta contenuta nella bella lettera di don Stefano Guidi – che ogni lettore e cittadino, a maggior ragione se cristiano, sia messo in condizione di «maturare un sano atteggiamento critico nei riguardi del mondo politico e anche del mondo in generale». Cerchiamo di informare sempre con il tono necessario, che a volte può essere giudicato – come fa il dottor Fraire – troppo «prudente» e persino «codino» e altre volte troppo «forte» e addirittura «eccessivo». La realtà è che noi non stiamo per adesione ideologica, e “a prescindere”, con nessun partito e nessuno schieramento, siamo invece a fianco di chi dice e fa la cosa giusta e, soprattutto, stiamo dalla parte delle persone, in particolare dei più deboli, dei senza voce, dei perseguitati. Che siano nostri concittadini italiani o cittadini del mondo, compagni di strada sulla via aperta da Cristo o semplicemente fratelli in umanità. Tutto questo può servire ad accendere la voglia di un sano e generoso impegno politico tra i nostri lettori? Lo spero, trovo tracce di questo esito, ogni tanto. E, quando succede, ne sono felice. La nostra stessa storia italiana – checché sostengano certi pur rispettabili studiosi e diversi polemisti – testimonia che una comunità civile si sviluppa meglio in libertà e benessere quando ci sono persone che trovano motivazioni e coraggio per fare politica da cristiani, e secondo la grande lezione di Alcide De Gasperi, vogliono e sanno collaborare con uomini e donne di diversa ispirazione, ma di stessa buona volontà. Non voglio farla troppo lunga, visto che ciò che avevamo da scrivere sul tumultuoso esordio della presidenza Trump i miei colleghi e io stesso l’abbiamo già scritto e sono certo che, d’ora in poi, il lavoro non ci mancherà... Ma su un punto voglio tornare. Il signor Mazzoldi è convinto, e non è il solo, che il “vero Trump” sia quello che ha revocato i finanziamenti alle organizzazioni che incentivano l’aborto a livello internazionale, e lo considera un paladino della vita umana. Vorrei che avesse ragione e auguro al mondo che il capo della Casa Bianca si riveli, infine, questo. Ma non riesco a considerare un «paladino» e, ancor meno, un «difensore della cristianità» chi proclama di difendere la vita nascente e non mostra lo stesso rispetto per la vita povera e perseguitata e, agitando la bandiera della guerra al disordine e al terrorismo, impone – forse per puro errore di valutazione, come sostiene il lettore de’ Bartolomeis – dei «marchi di infamia» su categorie di esseri umani senza potere, migranti e richiedenti asilo. Non mi stanco di scriverlo: né la vita umana, né la sua difesa si possono fare a pezzi. Se Trump sarà davvero «per la vita», lo vedremo e lo diremo.