Ddl Zan. Su definizioni controverse non si può dare il carcere
Gentile direttore,
vorrei tornare sulle perplessità sollevate su 'Avvenire' (mercoledì 14 aprile) riguardo taluni passaggi del ddl Zan dalla ex parlamentare Paola Concia. Sono fondate e meritano specifica attenzione, provenendo peraltro da chi in precedenti legislature si era resa promotrice di iniziative legislative anti-omofobia. Per coglierne la portata conviene ricordare che, al momento del passaggio del ddl dalla Commissione Giustizia all’Aula della Camera, la Commissione Affari costituzionali, nel parere reso all’unanimità, aveva posto quale condizione, fra le altre, la necessità di «chiarire maggiormente i confini tra le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa». Parere analogo è venuto dal Comitato per la Legislazione; l’evidente ragione è che il sistema penalistico si basa sul principio di legalità, di cui al secondo comma dell’art. 25 della Costituzione, il cui senso è che l’oggetto della norma penale deve essere stabilito da una legge precisa e determinata. Questo spiega perché l’Aula della Camera abbia introdotto nel ddl Zan, all’art. 1, le definizioni delle nuove categorie di sesso ecc.: la lettura di esse fa però constatare quanto sia elevata la distanza fra le intenzioni dei proponenti di ricondurre il testo a precisione e la realtà; i concetti utilizzati per delimitare la fattispecie incriminatrice continuano a essere vaghi e indeterminati.
Le distinzioni introdotte dall’art. 1 riflettono realmente la natura umana, o costituiscono soltanto il tentativo di giuridificazione di costruzioni ideologiche, che come tali sono soltanto socialmente – ma non già giuridicamente o scientificamente – determinate? Non sarebbe la prima volta che in seguito a una scelta esclusivamente politica, priva di rilievo scientifico, si introducono nel campo del diritto norme che non riflettono la realtà naturale, bensì quella artificiale. Delle due l’una: o è evidente che le distinzioni di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere sono pre-esistenti al diritto, tanto da meritare riconoscimento e addirittura tutela dalla sanzione penale, e allora però non necessitano di una apposita definizione ex lege; oppure quelle nozioni, poiché hanno bisogno di una esplicita costituzione legale, non esistono in natura e non pre-esistono al diritto, e quindi non possono essere artificiosamente introdotte dalla legge, al fine di creare una base fittizia su cui edificare una nuova – o estendere una precedente – fattispecie penale.
Per non dilungarmi troppo mi fermo sulla nozioni di «identità di genere », quale riportata dalla lett. d) dell’art. 1, essendo disponibile a formulare analoghe considerazioni per gli altri termini usati: per essa «si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione ». Così si completa il processo di 'evaporazione' dell’identità sessuata tramite una categoria eterea e volatile: non una dimensione oggettivamente saggiabile, bensì quella meramente percepita, pur senza aver concluso un percorso di transizione ai sensi della legge sul transessualismo. In questo scenario non è chiaro come si possa conoscere, da parte di soggetti esterni che non intendano incorrere in atti illeciti discriminatori, quale sia la reale 'identità di genere' di un soggetto che non ha effettuato o concluso il percorso di transizione, avendone una soltanto 'interiorizzata'. Non è chiaro se all’interno di tale definizione debbano ricomprendersi, per esempio, gli eventuali minori prepuberi con disforia di genere.
Molto altro vi è da dire, ma questi rapidi cenni segnalano quanto sia forte il rischio di arbitrarietà derivante da una tale incertezza definitoria: l’irrogazione di anni di reclusione, unitamente a pesanti pene accessorie, oltre che all’attivazione di strumenti di indagine invasivi, come le intercettazioni, viene fatta dipendere da espressioni controverse, ad alto tasso ideologico, in palese violazione del parametro costituzionale della tassatività.
Docente di biogiuridica, coautore del volume 'Legge Omofobia. Perché non va', Cantagalli 2021