Il direttore risponde. Studio estero rientro amaro
Caro direttore,
sono la mamma di uno studente liceale promosso in quinto Liceo Scientifico, dopo un anno di studio negli Stati Uniti. In realtà, per la riammissione al quinto anno la scuola di mio figlio ha richiesto esami scritti in matematica e storia dell’arte e un esame orale in tutte le altre materie, con programmi solo leggermente "sfoltiti" rispetto a quelli svolti. Il tempo a disposizione è stato di poco più di due mesi – in pratica luglio e agosto appena trascorsi – provenendo mio figlio da un anno scolastico che negli Stati Uniti è iniziato a fine agosto 2011 ed è finito alla metà di giugno. Mio figlio ha personalmente organizzato questa sua esperienza di studio all’estero e il suo liceo lo ha lasciato partire. Negli Stati Uniti ha fatto un piano di studio corposo riportando l’eccellenza per la scuola americana ("High Honours").
Al rientro in Italia, la scuola ci ha comunicato con chiarezza che non intendeva prendere per buoni i voti (100/100 in matematica, chimica e fisica) riportati negli Usa. Ci siamo, allora, informati sui licei romani che intendono riconoscere come definitivi i voti riportati nelle corrispondenti materie svolte all’estero e alla fine abbiamo deciso di trasferire nostro figlio in uno di questi. Non le sembra, caro direttore, che il ministero dell’Istruzione e quello degli Esteri, che sono i promotori del progetto di interscambio culturale che mio figlio ha utilizzato, dovrebbero regolamentare in modo univoco anche il rientro degli studenti, senza lasciare alla "libertà" del singolo istituto o del singolo consiglio di classe il da farsi? Uno studente che ha brillantemente studiato e dato ottimi risultati nella sua scuola già prima di partire, che ha fatto un piano di studio con materie fondamentali all’estero riportando il massimo dei voti, secondo lei al suo rientro è stato trattato in modo adeguato dalla sua scuola o piuttosto in modo – diciamo così – "esemplare", allo scopo di scoraggiare tutti gli altri studenti dal compiere un’esperienza di studio all’estero?
Antonella Crea, RomaTornando ai nostri liceali – non tutti figli di nababbi – che riescono ad andare per un anno negli Stati Uniti o in Francia o in Germania o in Spagna grazie ai programmi concordati tra gli Stati (e a una preziosa rete di famiglie ospitanti) sembra quasi dal suo racconto che questa avventura educativa non sia considerata da qualcuno un investimento (bello, faticoso e oneroso per i ragazzi e i loro genitori), ma un atto un po’ snob e che snobba la scuola italiana. Beh, presidi e insegnanti che ragionano così sarebbero solo miopi. Proprio per questo avere regole chiare e uguali per tutti gli istituti che garantiscano un buon paio di occhiali che aiutano a rimettere bene a fuoco le cose risulterebbe davvero opportuno.