Il premier Renzi conta di convincerlo: «Anche Mauro Moretti, quando vedrà la
ratio degli interventi, sarà d’accordo». Ma il dissenso espresso dall’amministratore delegato delle Ferrovie di Stato all’ipotesi di riduzione degli stipendi dei manager pubblici, siano essi dirigenti dello Stato o ai vertici delle Spa controllate, difficilmente si risolverà in una presa d’atto.Perché quando Moretti, riguardo ai suoi 850mila euro annui di retribuzione, sottolinea di guadagnare meno d’un terzo del suo omologo tedesco o che in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, il presidente delle Repubblica viene ricompensato assai meno di quanto non vengano retribuiti i manager d’impresa, non dice il falso. Ma occorre scegliere, ed essere coerenti, a quale logica si fa riferimento. Se a quella di mercato, in cui gli stipendi rispondono al meccanismo di domanda e offerta (anche se in realtà si limitano spesso ad aumentare esponenzialmente al crescere del "grado" all’interno dell’organizzazione societaria, senza un reale collegamento con impegno e meriti). Quella stessa logica che ha fatto della "creazione di valore" per gli azionisti il totem al quale sono stati sacrificati centinaia di migliaia di posti di lavoro in nome della competitività delle imprese (salvo rimanere, queste ultime, ben protette nelle nicchie dei mezzi monopoli, dei cartelli, delle scatole cinesi societarie). Oppure si sceglie di entrare in una logica più ampia: di "creazione di valori" (economici e sociali), di "bene comune". E anche di "beni comuni" visto che si parla pur sempre di società pubbliche. Ricordandosi che, proprio perciò, si è anzitutto a servizio di una comunità. Orgogliosi di esserlo. Impegnati in una missione.«Non c’è dubbio che lascerei l’incarico» se lo stipendio fosse dimezzato, ha avvertito Moretti. «Lo Stato può fare quel che vuole, ma dovrà mettere in conto che buona parte dei manager andrà via». Legittimo. Possibile. Almeno per quella parte di dirigenti per i quali soldi e prestigio sono il motivo principale del loro lavoro. Nel caso, il ricambio di classe dirigente, alla fine, potrebbe non essere un’operazione in perdita.