Il direttore risponde. «Stati vegetativi, la morte è "risparmio"?» Chi lo dice è ignorante e costruisce incubi
Caro direttore,
l’idea che inizia a prender piede dopo la sentenza del Consiglio di Stato sul caso di Eluana Englaro è quella di praticare l’eutanasia negli stati vegetativi persistenti (SVP) nel caso i cui i parenti lo richiedano, sostenendo che così le risorse regionali "risparmiate" andranno a favore di quelli che invece vogliono tenere in vita i propri congiunti nel medesimo stato. Viene da chiedersi chi garantisca che i "soldi risparmiati" vadano, poi, davvero in quella direzione. Eppure non è questo il punto. Il punto è che un’idea così fa leva sull’egoismo che, purtroppo, può crescere anche nella sofferenza. Tutto ciò spinge a ripiegarsi su se stessi e sui propri interessi, mentre occorre difendere la vita di tutti. Ma ci si può fare anche un’altra domanda scomoda: perché i parenti di persone in SVP che reclamano l’eutanasia vogliono vedere morte quelle stesse persone? Almeno chi vive nella mia stessa Regione, la Lombardia, può disinteressarsi totalmente – cioè sia economicamente (dal 2007, grazie a una scelta della Giunta Formigoni) che affettivamente (se proprio lo vuole, nessuno può impedirlo) del proprio congiunto in SVP. Dunque, ripeto, perché cercarne la morte? Non è che il "problema" da risolvere è loro e non della persona in SVP? Queste ultime persone vivono grazie all’affetto che sentono, non a caso Eluana è vissuta 17 anni dopo l’incidente anche e soprattutto grazie all’affetto della madre e delle suore di Lecco e, nei suoi ultimi anni, solo di queste ultime. È una dimostrazione del fatto che persino nella situazione in cui versano le persone in SVP sono capaci di nutrire e ricrearsi legami affettivi, anche a prescindere dai familiari. Perché interrompere questi rapporti? Sulla base di quale presunzione? Siamo veramente in grado di conoscere il mistero che c’è in queste persone?
Fabio Sansonna, Monza