Opinioni

Alla prova della ricostruzione. Stagione di speranza

Marco Tarquinio giovedì 17 novembre 2011
L’autunno può essere anche una stagio­ne di speranza. E quest’autunno 2011 – indelebilmente segnato da venti di crisi che ci hanno scaraventato addosso richiami po­derosi e scioccanti alle nostre debolezze na­zionali e alle responsabilità che, non solo per noi stessi, dobbiamo saper onorare – può dav­vero convertirsi in stagione di speranza. Una stagione utile per attraversare con convin­zione il tempo del rigore che inesorabilmen­te si annuncia e per rinsaldare le fondamen­ta del sistema Italia. Il 'governo dei compe­tenti e dei disinteressati' (riprendo l’esigen­te etichetta-auspicio di un nostro lettore) che è nato ieri – il 63° della storia repubblicana – è chiamato a lavorare per questo, con lena al­meno pari alle grandi difficoltà che gli tocca di affrontare. Questo esecutivo, voluto dal capo dello Sta­to e guidato da Mario Monti, è nato per ge­stire una transizione ardua. Per aprire il can­tiere dei 'sacrifici' – spiegandocene equità, senso e convenienza – e per impostare so­stenibilmente la nuova fase di sviluppo u­mano ed economico di una grande nazione, già fortemente sviluppata, nell’era della glo­balizzazione e del riequilibrio necessario e i­nevitabile. Dovrà saperlo fare con quello spi­rito di civile servizio che si addice a una com­pagine di 'tecnici', ma di tecnici con l’anima, cioè con le idee chiare e con valori saldi (e ci sono molti nomi e biografie che danno pie­na fiducia in questo senso). Dovrà saperlo fa­re, valorizzando le grandi forze positive del­la società italiana e dando vita a un’intelli­gente e decisiva collaborazione con Camera e Senato nelle cui aule – grazie alla disponi­bilità certo interessata eppure davvero inte­ressante delle maggiori forze politiche – di­spone di una vastissima maggioranza. In Ita­lia, del resto, nessun tipo di governo è conce­pibile e può reggere senza una base politica nell’istituzione centrale nel nostro ordina­mento costituzionale: il Parlamento. Una maggioranza, dunque, c’è. Ed è il risul­tato di scelte responsabili e ben calcolate di forze a loro volta in transizione. La costitui­scono il grintoso sì del Pdl, possibile grazie al non scontato passo indietro di Silvio Berlu­sconi che s’è fatto passo avanti del partito di maggioranza relativa. L’articolato sì del Pd, che ha investito su questa cruciale fase di pas­saggio anche la propria capacità di coalizio­ne, coinvolgendo in qualche modo la recal­citrante Idv e l’extraparlamentare Sel. E il sì totale dell’attuale Terzo Polo, che un percor­so di questo tipo ha indicato a lungo e che in questa impegnativa esperienza testerà se stesso e i futuri compagni di strada. Solo la Le­ga dice no, ed è una decisione tatticamente comprensibile, ma non convincente. Sareb­be il colmo se il federalismo fiscale divenisse realtà ben temperata nei mesi del ministero della Coesione territoriale dopo essere rima­sto sulla carta negli anni del ministero per l’Attuazione del federalismo. Certo, siamo al cospetto di una maggioranza che non s’è fatta 'grande coalizione' (visto che nessun esponente di partito è diventato ministro) neanche sotto l’incalzare di una cri­si devastante, e che però si può manifestare non solo come mera convergenza a tempo attorno a un prezioso governo di scopo, ben­sì come altrettanto preziosa 'larga intesa'. U­na larga intesa riformatrice e rimodellatrice, tale cioè da portare forze importanti – e tra lo­ro seriamente alternative – a fare assieme ciò che è essenziale per il bene dell’Italia e di un’Europa di cui siamo soci fondatori e non zavorra, per l’equilibrio delle nostre istitu­zioni, per l’evoluzione virtuosa (anche con u­na legge elettorale che riavvicini eletti ed e­lettori) di quel bipolarismo che milioni e mi­lioni di italiani hanno dimostrato in questi anni di accettare e 'usare' pur senza accet­tare più il crescente distacco tra palazzi e gen­te e modi di vivere e retribuire la rappresen­tanza politica che, a torto o a ragione, sono ormai catalogati solo come "privilegi". Si trat­ta di una prospettiva e di un lavoro comune né semplici né scontati negli esiti, ma che sa­rebbe imperdonabile non perseguire. L’oc­casione è persino provvidenziale. La missione del governo Monti – un esecutivo davvero senza precedenti per genesi, per com­posizione e per ampiezza di consensi annunciati – è dunque inevitabilmente anche politica. L’au­gurio è che i tecnici riescano in pieno. E che i po­litici sappiano fare l’altra metà del lavoro.