Il G8 Energia che si è svolto in questi giorni a Roma ha se non altro il merito di aver messo sul tavolo con notevole chiarezza le poste in gioco e i rischi che un futuro attraversato da tempeste finanziarie e valutarie e da un mercato totalmente privo di controllo può comportare. In particolare ci colpisce un dato congiunturale: la crisi economica – sostiene il direttore esecutivo della Iea ( l’Agenzia Internazionale per l’Energia), Nobuo Tanaka – provocherà nel 2009 un calo della capacità mondiale di produzione elettrica del 3,5% dovuto al drastico contrarsi degli investimenti ( il 21% in meno della capacità estrattiva e il 38% per le fonti rinnovabili). Un ribasso che non si era mai più verificato dalla fine della Seconda guerra mondiale e che può mettere seriamente a rischio gli obiettivi internazionali sul taglio delle emissioni. Con un’immediata ripercussione che colpisce nella crudezza delle sue cifre: nel mondo, in particolare nell’Africa subsahariana e nel subcontinente asiatico, ci sono ancora 1,6 miliardi di persone che non hanno accesso all’energia elettrica, una cifra suscettibile di crescita proprio a causa della crisi economica e degli effetti cui abbiamo appena accennato. Il problema è più complesso di quanto non appaia. I bassi prezzi del petrolio rallegreranno sicuramente i consumatori perché avranno una bolletta più leggera, ma, come dice l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, « sono il peggior nemico del risparmio energetico, degli investimenti in energie alternative e della ricerca scientifica in campo energetico, per non parlare della caduta delle entrate dei paesi produttori » . Che fare dunque, e quale potrebbe essere il giusto prezzo del petrolio, per citare la fonte primaria che dà energia al mondo industrializzato? La risposta è già emersa in varie occasioni: la giusta forbice che consente ai Paesi produttori e a quelli consumatori la stabilità e la regolarità degli scambi pare collocarsi tra i 60 e i 70 dollari al barile. Ma dall’ad dell’Eni giunge ora una proposta di più alto profilo: creare un’agenzia universale per il petrolio, un fondo per la stabilizzazione dei prezzi e una gestione coordinata a livello mondiale delle scorte di greggio e prodotti finiti. Proposta che ha suscitato l’immediato interesse di molti fra i Paesi consumatori. Si dirà: ma l’Opec e gli altri grandi produttori che non ne fanno parte potranno mai accettare l’idea senza viverla come una sorta di commissariamento del mercato? Una via c’è, e potremmo chiamarla ' lo spettro della volatilità'. Perché se è vero – come ha ammonito il potente ministro del Petrolio saudita al- Naimi – che quando la recessione avrà termine e comincerà la ripresa ci sarà un’impennata della domanda e il conseguente rischio di una crescita vorticosa dei prezzi peggiore perfino di quella del 2008, è vero anche che questi squilibri, che conducono inevitabilmente a una contrazione della domanda e quindi a nuove cadute, non giovano a nessuno. Basti pensare i danni che la Russia e il Venezuela hanno subito nell’ultimo anno a causa del drastico ribasso delle quotazioni: Mosca con una crisi borsistica ed economica senza pari, Caracas con la perdita di quei profitti grazie ai quali poteva mantenere il proprio ruolo di grande elemosiniere sudamericano. La stabilità, dunque, è il fine condiviso a mezza bocca da tutti. Mai più, mormorano signori e signorotti del petrolio, un balzo da 150 a 37 dollari nel giro di pochi mesi. E, aggiungiamo noi, nemmeno un balzo all’insù di simili proporzioni.