Il direttore risponde. Spirito di Camaldoli, doveri d'oggi
Caro direttore,
quest’anno ricorrono, dunque, i settant’anni del Convegno di Camaldoli, dove un gruppo di intellettuali cattolici stilano un programma per la rinascita del Paese conosciuto come il «Codice di Camaldoli». Avvenire ne ha già scritto. Ma non inutile ricordare che dal 18 al 24 luglio del 1943 nell’antico Monastero casentinese con l’organizzatore dell’iniziativa, Vittorino Veronese, si ritrovano Giorgio La Pira, Guido Gonella, Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Mario Ferrari Aggradi, Giuseppe Capograssi, Dino Del Bo, Antonio Boggiano Pico, Vittore Branca, Ludovico Montini, Angela Gotelli, Gesualdo Nosengo, Orio Giacchi, Franco Feroldi, monsignor Adriano Bernareggi, il gesuita Padre Ulpiano Lopez, monsignor Pavan, monsignor Costa, monsignor Guano e monsignor Colombo. Il convegno finisce in anticipo a causa del bombardamento di Roma del 19 luglio. I partecipanti tornano a casa ma continuano a lavorare ai testi prodotti con l’aiuto di altri amici come Paolo Emilio Taviani e Pasquale Saraceno fino al 1945 quando, a guerra finita, viene pubblicato il volume "Per la comunità cristiana. Princìpi dell’ordinamento sociale a cura di un Gruppo di studiosi amici di Camaldoli". È, appunto, il "Codice di Camaldoli", che costituirà la base programmatica della Democrazia Cristiana.
Le linee portanti del documento sono l’affermazione della dignità della persona e del suo primato sullo Stato; il riconoscimento della laicità dello Stato; l’accentuazione del ruolo della politica come garante della giustizia sociale; la sottolineatura della funzione sociale della proprietà. Punto centrale della dottrina economica del Codice è la teoria, elaborata da Vanoni, dell’attività finanziaria pubblica che, seguendo il criterio della giustizia sociale, deve provvedere all’equa ripartizione di oneri e benefici del prelievo fiscale.
Il ruolo svolto dai cattolici nella vita pubblica italiana, dall’immediato dopoguerra, è stato costruito su quelle basi. Lontano dai riflettori. Tanto che alla fine della guerra, quella dei cattolici sembra quasi un’apparizione improvvisa sulla scena politica. Imprevista dalle classi dirigenti dell’epoca, convinte che il cattolicesimo italiano fosse destinato a giocare un ruolo solo nella sfera religiosa.
Quasi come oggi, con i cattolici riconosciuti e riconoscibili solo nella difesa dei valori "non negoziabili" con grande soddisfazione delle componenti liberali e socialiste che invece riescono a orientare le politiche economiche, sociali e costituzionali creando le condizioni per una difficoltosa se non impossibile affermazione dei princìpi morali sottostanti a quegli stessi valori.
Eppure, oggi come allora, in una fase di grave crisi morale, politica ed economica, il cattolicesimo italiano dovrebbe dare un contributo originale per la "ricostruzione del Paese" innanzitutto sul piano dell’elaborazione culturale e della formazione di nuove classi dirigenti, ma anche su quello pre-politico dell’organizzazione del consenso intorno ad idee nuove finalizzate a superare la grave recessione economica e la crisi della rappresentanza politica che genera sfiducia nei confronti delle istituzioni.
Tale impegno oggi è reso ancora più urgente dalla fragilità della nostra democrazia. E non si può pensare di affrontarlo in ordine sparso e con vacui personalismi. Immaginare che i cattolici possano efficacemente inserirsi nelle dinamiche politiche, economiche e dell’informazione, dominate da ristrette oligarchie, senza un disegno strategico e strumenti adeguati è una "pia illusione" e un’abdicazione al dovere di responsabilità verso i fratelli che assimilerebbe i nostri comportamenti alla risposta di Caino a Dio.
Francesco Gagliardi