L’ennesima tragedia del mare – e il Cielo sa se vorremmo che fosse l’ultima – ripropone, ogni volta in modo più netto, drammatico e urgente la sola domanda che merita convincente risposta: che cosa ritiene di fare l’Unione Europea, quali proposte, quali progetti, quali rimedi reputa di mettere in campo affinché il Mediterraneo cessi di essere un gigantesco cimitero per migliaia di sventurati e di miserabili in fuga dagli orrori delle guerre, dalle persecuzioni religiose, dalla crudeltà di satrapi e dittatori di cui i continenti che si affacciano su questo mare purtroppo abbondano? Vorremmo sbagliarci, ma la risposta ancora non c’è. Non nel senso che Bruxelles rifiuti di occuparsene, semplicemente tende a minimizzare il problema. Una dimostrazione esemplare viene dalla bozza conclusiva del vertice dei capi di Stato e di governo che si è appena chiuso venerdì. Non vi troviamo traccia alcuna di salvataggi in mare, né si accenna a quella porzione marina di Europa –
Mare Nostrum, appunto – sul quale, non per dire, stendono le proprie coste e spiagge nazioni non di secondo piano come l’Italia, la Francia, la Spagna, oltre alla Grecia, a Malta, a Cipro e alla Croazia. Ma l’Unione Europea, impareggiabile nel creare agenzie come il Frontex (che per il 2014 ha un budget di soli 90 milioni di euro, l’equivalente per l’intera Ue del costo di dieci mesi della missione umanitaria solo italiana "Mare Nostrum") o nell’immaginare il sistema di monitoraggio satellitare Eurosur, chiude sistematicamente gli occhi di fronte al problema. «Un’europeizzazione del problema degli sbarchi – confidano a Bruxelles fonti diplomatiche – comporterebbe costi e oneri che i Paesi del Nord non sono disposti a sobbarcarsi». Molto più semplice, come fa il presidente
in pectore della Commissione Europea Jean–Claude Juncker, ipotizzare la figura di un commissario delegato alle questioni dell’immigrazione. Grandiosa idea, se pure con un ritardo di almeno quindici anni. Come in ritardo rispetto alla realtà delle cose sono alcuni dispositivi che attengono al diritto di asilo, primo fra tutti il "Dublino 3", il regolamento della Ue che impone ai migranti di fare richiesta d’asilo nel primo Paese in cui sbarcano. Il che vuol dire prevalentemente da noi, a prescindere da dove spesso già risiedano le loro stesse famiglie.Non sfugga il fatto che buona parte dei carichi di disperati che prendono la via del mare si forma e parte dalla Libia. Quella stessa Libia che – ora ce ne rendiamo pienamente conto – la stolida fretta di Francia e Gran Bretagna di cancellare il regime di Gheddafi sull’onda delle primavere arabe del 2011 ha finito per trasformare in una succursale della Somalia, dove legge, diritto, sicurezza, speranza nel futuro sono parole travolte dall’anarchia e dalla violenza dei gruppi più radicali e dalle dispute tribali. Eppure proprio laggiù, dalla Libia, si potrebbe e si dovrebbe ripartire per creare un corridoio umanitario, un ombrello internazionale sotto l’egida dell’Onu perché i migranti possano fare domanda d’asilo <+CORSIVOA>senza<+TONDOA> mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti e degli scafisti. È lì, dove si forma il problema, che l’Europa dovrebbe cominciare ad agire. L’Europa, si badi, non la sola Italia.Nelle ultime 72 ore oltre 5mila immigrati sono stati soccorsi dalle navi della Marina militare inserite nel dispositivo aeronavale interforze "Mare Nostrum" nel Canale di Sicilia. Trenta di essi erano giunti sulle nostre coste già cadaveri, soffocati nel ventre di una barca. Dall’inizio dell’anno ne sono stati soccorsi oltre 60 mila. Le previsioni dicono che si arriverà almeno a 100 mila entro l’anno. A poco valgono, di fronte a tutto ciò, i farisaici distinguo che francesi e tedeschi abitualmente ci propinano, spalleggiati dalla commissaria uscente agli Affari Interni Cecilia Malmström: nel solo 2013 – dicono – i tedeschi hanno ricevuto 125mila richieste di asilo, la Francia 75mila, la Svezia 54mila, il Regno Unito 30mila e l’Italia "solo" 28mila. Come dire, di cosa ci lamentiamo? Ma questa è una domanda insulsa e provocatoria: nel Mediterraneo si muore, si fanno affari, si lascia letteralmente soffocare la speranza. E da troppo tempo l’Unione Europea tarda a dare la risposta giusta.