L’eccidio di profughi siriani avvenuto l’altro giorno al confine tra Siria e Turchia diventa giocoforza il tragico simbolo della giornata mondiale del rifugiato celebrata ieri. Su otto persone inermi – uccise, secondo l’accusa dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, dalle guardie di frontiera di Ankara mentre tentavano di oltrepassare il confine, circostanza però smentita dal governo turco – quattro erano bambini. La metà. Non è un caso, sono bambini anche il 50% degli oltre 65 milioni di rifugiati stimati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite a fine 2015, il numero più alto dalla fine del secondo conflitto mondiale, 6 milioni in più rispetto al 2014. Quindi, il mondo ha attualmente il numero più elevato di bambini in fuga da guerre, persecuzioni e fame degli ultimi 70 anni. Ma non basta a scuotere le coscienze indifferenti degli europei. La Turchia, che pure secondo il rapporto sulle tendenze globali dell’Onu è il Paese più accogliente del pianeta con oltre tre milioni di rifugiati, giustifica i respingimenti dei profughi inermi con la necessità di difendersi dalle infiltrazioni dei terroristi. Che per Ankara sono soprattutto i curdi e che la stessa Turchia ritiene più pericolosi del Daesh. Eppure con lo stato turco, che non esita a usare tutti i mezzi per tenere le persone lontane dal confine e che ha parecchi, intollerabili deficit per quanto concerne il rispetto dei diritti umani e civili (giusto ieri ha arrestato preventivamente un giornalista che rappresenta l’associazione 'Reporter senza frontiere' per aver espresso solidarietà a una testata filo curda) l’Ue non ha esitato a stringere qualche mese fa un oneroso accordo per fare da guardiano delle frontiere, per stoppare coloro che provano a entrare sulla rotta balcanica, metterli in campi e poi eventualmente ricollocare quelli che ne hanno diritto negli Stati dell’Unione. Accordo che non funziona, perché le persone ricollocate sono finora troppo poche. E che ha provocato enormi costi umani, spingendo i profughi verso l’Egitto e bloccandone svariate migliaia – la metà sono sempre bambini, non scordiamolo – in una sorta di limbo che si allunga in Grecia e fino alle porte balcaniche della Fortezza Europa. Limbo fatto di campi improvvisati e precari, paradiso di criminali e trafficanti di esseri umani. Le porte sono state chiuse in faccia indiscriminatamente a tutti, a chi ha diritto e a chi non ne avrebbe, la selezione è arbitraria, in spregio alle norme internazionali, come documentano anche i reportage che stiamo pubblicando su
Avvenire. E che alla fine ha solo spostato i naufragi dalle isole greche al Canale di Sicilia senza che il numero elevato delle vittime dei naufragi stessi nel Mediterraneo – circa 3.000 in sei mesi, ha ribadito ieri la Croce Rossa, e molti erano bambini – sia diminuito. Solo l’apertura dei corridoi umanitari che Sant’Egidio e la federazione delle chiese evangeliche stanno attuando in via sperimentale con il governo italiano, sembra offrire un’alternativa. Ripetiamolo con franchezza: scorrendo le cifre sui rifugiati, l’accordo con Ankara non fa onore all’Europa, ne mostra anzi tutta la debolezza politica, le paure del diverso e del terrorismo diffuse tra la popolazione – quella che la retorica definisce ancora 'Europa dei popoli'–, l’ipocrisia e le divisioni tra le cancellerie. Ieri l’Alto commissario Filippo Grandi ha puntato il dito sulla narrazione isterica fatta dai media (e dai politici che investono sulla paura, aggiungiamo noi) che creano nell’opinione pubblica un’emergenza inesistente nel Vecchio continente, dove i numeri delle persone accolte sono distanti anni luce da quelli del piccolo Libano, della stessa Turchia, della poverissima Etiopia. Numeri alla mano, si rivela inutile pure la logica della costruzione dei muri che tenta anche i nostri vicini austriaci e balcanici. Se nel mondo fuggono in media 24 persone al minuto, il buon senso insegna che occorre intervenire sulle cause del conflitto per fermare e possibilmente invertire un flusso oggi inarrestabile. Flusso, non ci stanchiamo di ripeterlo ancora, fatto per metà di bambini che cercano solo rifugio e braccia aperte per crescere in una terra che di figli ne mette al mondo ormai troppo pochi.